Il presidente eletto Donald Trump continua le sue riunioni a Mar-a-Lago, dove ha già incontrato diversi leader stranieri, tra cui il premier canadese Justin Trudeau. Prosegue la composizione della squadra per la prossima amministrazione, il cui insediamento avverrà a partire dal 20 gennaio con il giuramento del tycoon. E già si conoscono le prime misure che egli ha in testa: dazi sulle merci di Messico, Canada e Cina. Saranno imposti per ritorsione contro il mancato controllo dell’immigrazione clandestina e del contrabbando di fentanyl.
USA al contrattacco contro influenza sino-russa
Trump ha dichiarato che sarà pronto ad introdurre dazi anche del 100% contro quei Paesi che fanno parte dei Brics, il blocco anti-occidentale guidato da Cina e Russia, se complotteranno per la nascita di una moneta alternativa al dollaro. “Tanti saluti al mercato americano”, ha sintetizzato. Una posizione che il presidente eletto sta portando avanti in maniera chiassosa, ma che svela l’irritazione dell’establishment americano in questi anni per la crescente influenza di Pechino in Asia (e non solo) contro la finanza dollaro-centrica.
Alla riunione di ottobre a Kazan, Russia, i Brics non hanno discusso sulla creazione di una moneta comune. L’idea era stata lanciata dal Brasile, il cui presidente Lula neanche si è presentato all’incontro, ufficialmente per ragioni di salute. Più che ad una vera moneta comune, il blocco starebbe puntando sull’istituzione di un sistema di pagamenti alternativi allo Swift. Questi è una società con sede a Bruxelles e che gestisce decine di milioni di transazioni ogni giorno. Dal 2022 la Russia non ne fa più parte a seguito delle sanzioni. Mosca ha difficoltà anche a pagare i creditori o a ricevere pagamenti dai clienti internazionali.
Sanzioni accelerano ricerca di alternative al dollaro
Proprio le sanzioni occidentali hanno accelerato la ricerca di un sistema alternativa al dollaro per sfuggire a possibili ritorsioni di Washington e alleati.
Qual è la paura degli Stati Uniti? Se questo processo prosegue, la domanda di dollari nel mondo si abbasserà nei prossimi anni. Gradualmente, la superpotenza perderebbe il privilegio insito nell’emettere la valuta di riserva mondiale. Ciò le consente da oltre un secolo di indebitarsi a basso costo e di non dover temere l’inflazione. I Brics sono consapevoli che non potranno spodestare il dollaro dall’oggi al domani, non potendo offrire alcuna alternativa credibile. Ma quel che già possono e vogliono fare è infittire le relazioni commerciali e finanziarie bilaterali in valute locali, cioè senza passare per i pagamenti in dollari.
Minaccia ai Brics non basta
La minaccia di Trump è seria e al tempo stesso svela la crescente consapevolezza del “deep state” a stelle e strisce sul rischio di perdere influenza e potere attraverso la dedollarizzazione. Più che i dazi, a spaventare molti Paesi che aderiscono ai Brics (vedi Egitto) o che puntano a farvi parte (vedi persino Turchia) sarebbe anche il mancato accesso ai prestiti di organismi come Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale, istituzioni create dall’Occidente. Ma lo status del dollaro lo si conserva con la credibilità, non minacciando a destra e a manca. Più che di sanzioni, gli USA hanno bisogno di ordine fiscale e monetario.