Nessuno sconquasso sui mercati finanziari dalle elezioni politiche ad oggi. A un mese dal voto che ha rivoluzionato il sistema politico italiano, lo spread BTp-Bund a 10 anni, indicatore del grado di appetibilità dell’Italia, resta sotto i 130 punti base, i rendimenti decennali scivolano sotto l’1,8% e Piazza Affari non mostra alcun segno di nervosismo, muovendosi in linea con le borse europee. Tutto questo, nonostante sia certo che al governo vi andrà almeno uno dei due partiti “sovranisti” vincitori delle elezioni, ovvero Movimento 5 Stelle e Lega.
Reality check sull’uscita dell’euro
Sembra che i “populisti” italiani abbiano imparato la lezione di 4 anni fa, quando un elettorato spaventato da proposte un po’ estreme finì per premiare inaspettatamente proprio il partito di governo e il più filo-UE in Italia: il PD. Dopo tutto, la netta maggioranza degli italiani sarebbe ancora, nonostante tutto, favorevole all’euro, non fosse altro per il ricordo di una lira, che fu tutt’altro che quell’epopea valutaria narrataci negli ultimi tempi dai sostenitori del sovranismo monetario.
Uno di questi è Claudio Borghi Aquilini, responsabile della Lega per gli affari economici ed eletto parlamentare, sebbene abbia perso il seggio di Siena alla Camera con l’uninominale, correndo contro il ministro dell’Economia uscente, Pier Carlo Padoan. L’uomo è diventato uno degli economisti più in voga con lo scoppio della crisi del debito sovrano, profetizzando la fine dell’euro e professando il ritorno alla lira come soluzione per risolvere gran parte dei mali economici dell’Italia.
L’ipotesi dei minibot
Una delle idee di Borghi per transitare il nostro Paese dall’euro alla lira consiste nell’emissione dei cosiddetti “minibot”. Di cosa si tratta? Sarebbero titoli del tutto simili ai bond emessi dal Tesoro per finanziarsi (BoT, BTp, etc.), ma formalmente certificati di credito con cui lo stato pagherebbe il cittadino, iniettando liquidità in circolazione. La Pubblica Amministrazione continua a restare in debito con le imprese italiane per oltre una cinquantina di miliardi di euro, soldi che non può pagare per assenza di liquidità e per l’impossibilità di indebitarsi ulteriormente, altrimenti violerebbe i limiti del deficit imposti dal Patto di stabilità.
I minibot aggirerebbero l’ostacolo, secondo Borghi. Essi verrebbero emessi alla pari con l’euro, ovvero nel rapporto di 1:1, per cui un titolo di 100 equivarrebbe a 100 euro. Le imprese beneficiarie, anziché riscuotere euro veri e propri, incasserebbero tali titoli e potrebbero portarli in banca a riscuoterli, ottenendo così moneta effettiva. In alternativa, nessuno impedirebbe loro di utilizzarli per pagare beni e servizi ad altri privati o allo stesso stato, nel caso li accettassero, di fatto trasformandoli in una moneta parallela, che stando a una proposta dell’ex premier, Silvio Berlusconi, verrebbe anche definita “fiscale”.
Ora, cosa non va nell’impostazione di Borghi? In primis, non può essere emessa alcuna moneta parallela da uno stato membro dell’Eurozona. Lo ha chiarito la BCE nel 2015, quando una simile misura fu invocata dall’allora ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis. Inoltre, quand’anche a Bruxelles chiudessero entrambi gli occhi e si girassero da un altro lato fingendo di non vedere, difficile che i minibot riscuoterebbero il successo ipotizzato dall’economista della Lega.
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La rottamazione del debito
E che dire dei mercati, che valuterebbero tale passo come il primo compiuto da Roma per prepararsi all’uscita dall’euro? I nostri titoli di stato, quelli veri, verrebbero venduti copiosamente, perderebbero valore e i rendimenti schizzerebbero, rendendo più costoso il rifinanziamento del debito pubblico in scadenza. Nei fatti, s’innescherebbe una profezia che si auto-realizza e l’Italia verrebbe davvero messa sulla porta dell’euro dai mercati, non tornando alla lira motu proprio. Dunque, se è vero che la maggiore liquidità iniettata nel sistema economico stimolerebbe sin da subito i consumi e gli investimenti, ovvero la domanda interna, dall’altro metterebbe in moto una serie di reazioni pericolose e potenzialmente poco gestibili.
Non è tutto. Borghi ha di recente avanzato una proposta, che i tedeschi giudicherebbero indecente, per non dire orripilante solo a sentirla: la rottamazione del debito pubblico italiano in mano alla BCE. Francoforte avrà acquistato al settembre prossimo, data di scadenza fissata per il “quantitative easing”, 400 miliardi di euro di titoli di stato tricolori. Man mano che arrivino a scadenza, propone l’economista, Mario Draghi e i suoi successori, anziché riscuoterli, potrebbero semplicemente cancellare tali passività per l’Italia, rinunciando a farsi pagare quanto spetti all’istituto.
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Proposte fantasiose, non credibili
Si tratterebbe di una palese forma di monetizzazione del debito, vietata dal Trattato istitutivo della stessa BCE, che non prenderebbe nemmeno in considerazione un’ipotesi, che dovremmo giudicare irresponsabile nel migliore dei casi. Come si fa a pensare di risolvere il problema del debito semplicemente chiedendo al nostro principale creditore pubblico di cancellarcelo? E pensiamo forse che gli altri stati dell’Eurozona starebbero a guardare o forse non chiederebbero di ricevere lo stesso trattamento, nel caso in cui ci fosse accordato qualcosa? Fanta-finanza pura sperare, quindi, che la BCE rinunci a qualcosa come 2.000 miliardi di euro di crediti verso i 18 stati dell’unione monetaria, Grecia esclusa. Infine, anche solo ipotizzando teoricamente che i 400 miliardi ci venissero cancellati davvero e senza condizioni, il rapporto debito/pil scenderebbe solo in area 110%, oltre una ventina di punti in più della media dell’area, a livelli ancora quasi doppi di quelli tedeschi.
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E allora, la fanta-economia immaginata e propinata a piene mani da alcuni facili conquistatori del consenso può anche suscitare speranza in chi vede la costruzione della moneta unica come una gabbia in cui l’Italia viene tenuta ostaggio, ma non si rivelerà altro che la somma di soluzioni fallimentari prive persino di fondamento teorico. A dire il vero, in questi anni l’idea dei minibot di Borghi ha trovato attuazione in un paese lontano dal nostro: lo Zimbabwe. Harare ha emesso qualche centinaio di milioni di dollari di “bond notes” alla pari con il dollaro USA, salvo scoprire che il valore dei titoli fosse crollato fino a dimezzarsi sul mercato per la scarsa fiducia raccolta tra i cittadini. Per questo, ci permettiamo di offrire a Salvini un consiglio non richiesto: si circondi più di un Giancarlo Giorgetti o di un Armando Siri che non di apprendisti stregoni alla Borghi. A maggior ragione che starebbe per arrivare al governo del Paese. Se non lo sapesse, lo informiamo che nello Zimbabwe, il dittatore Robert Mugabe è stato da poco cacciato dopo 36 anni da un colpo di stato ordito dai militari e dallo stesso Parlamento ai suoi danni, anche sul panico scatenato da idee balzane come quella della versione africana dei minibot.