Questo sarà l’ultimo anno per il reddito di cittadinanza. Se il governo Meloni manterrà la promessa, il sussidio voluto dal Movimento 5 Stelle e introdotto dal primo esecutivo guidato da Giuseppe Conte nel 2019 non arriverà al quinto anno di vita. Dal 2024, infatti, si cambia. E con gennaio sono già arrivate alcune novità dirompenti. La prima riguarda il tetto di sette mesi per i beneficiari di età compresa tra 18 e 59 anni senza minori a carico e capaci di lavorare. La seconda ha scatenato molte polemiche: è stato cancellato il riferimento all’offerta “congrua” per accettare un posto di lavoro.
Il ministro del Lavoro, Marina Calderone, ha voluto fare chiarezza in questi giorni. Ci ha tenuto a precisare che la fine del reddito di cittadinanza è dovuta alla necessità di superare l’equivoco che è stato alla sua base. Il governo di cui fa parte ha l’intenzione di distinguere tra assistenza e sostegno all’occupazione. Sono due elementi complementari, ha spiegato, ma che nel sussidio sono stati mescolati, generando confusione anche sul piano delle valutazioni dei risultati.
Cosa vuole dire il ministro? Come più volte abbiamo rimarcato su questo giornale, il reddito di cittadinanza andrebbe inteso esclusivamente come un sussidio a favore delle famiglie più povere. Invece, nel 2019 l’allora ministro dello Sviluppo, Luigi Di Maio, mischiò le carte in tavola per superare le polemiche dei numerosi oppositori al reddito di cittadinanza, tra cui la Lega di Matteo Salvini alleata di governo e il Partito Democratico all’opposizione. Nel tentativo di farlo digerire anche al mondo delle imprese, i “grillini” s’inventarono la figura dei navigator quali sostegno ai beneficiari per la ricerca di un lavoro. Da quel momento in avanti, il reddito di cittadinanza divenne un sussidio finalizzato all’ingresso o reinserimento nel mondo del lavoro.
Reddito di cittadinanza tra assistenza e lavoro
Tuttavia, questa confusione tra politiche per il lavoro e assistenza è stata un boomerang. Dalla primavera del 2019, tutti gli analisti si sono concentrati sui risultati della misura in termini di occupazione creata tra i beneficiari. E naturalmente questi si sono rivelati insufficienti, con la conseguenza di avere portato alla bocciatura del sussidio tra larghi strati della popolazione italiana. Lo stesso Movimento 5 Stelle si contraddice quando spiega che i due terzi dei beneficiari sarebbero “non occupabili”, perché tradisce il bluff di Conte-Di Maio di quattro anni fa. Se chi prende il sussidio, nei fatti, non può quasi mai lavorare, allora quale senso ha avuto l’istituzione della figura del navigator e il legame con il re-inserimento nel mondo del lavoro?
Ed ecco che Calderone delinea le caratteristiche del nuovo sistema di aiuti alle famiglie. La cancellazione del reddito di cittadinanza non significherà l’abbandono di quelle più povere, bensì sussidi più mirati. L’ipotesi sarebbe di tornare al Reddito d’inclusione (Rei), istituito durante i governi del PD, magari estendendo la platea dei beneficiari e possibilmente l’entità dell’assegno. Invalidi civili, over 60 e famiglie con minori a carico dovrebbero stare tranquilli, perché il sussidio non sarà loro eliminato. O meglio, perderanno il reddito di cittadinanza a favore di nuovi sostegni. Tutti gli altri saranno accompagnati al lavoro, potenziando gli strumenti delle politiche attive. Da quest’anno, ad esempio, gli under 30 senza un titolo di studio obbligatorio dovranno almeno frequentare un corso di formazione per non perdere il sussidio.
La distinzione tra assistenza e politiche per il lavoro farà bene ai percettori attuali del reddito di cittadinanza. Verrà meno l’equivoco che si è generato nell’opinione pubblica, secondo cui i beneficiari dovrebbero cercarsi un lavoro o perdere il diritto all’assegno. Il nuovo sussidio sarà propinato, invece, come un sostegno a chi vive in condizioni di relativa povertà.