Nell’agosto dello scorso anno, a Johannesburg (Sudafrica), si tenne un’importante riunione dei cosiddetti Brics, dalla quale venne fuori l’annuncio sulla volontà di emettere una moneta comune. Fece scalpore, trattandosi di economie emergenti che incidono per il 40% della popolazione e per quasi un terzo del Pil mondiale. I protagonisti chiarirono sin da subito che l’operazione non avesse connotati ostili all’Occidente, ma che puntasse a riequilibrare le relazioni finanziarie, ad oggi eccessivamente improntate sul dollaro Usa. Alla moneta dei Brics è stato affibbiato l’acronimo R5, dove “r” sta per l’iniziale di tutte le valute di riferimento: renminbi, real, rupia, rand e rublo.
Moneta Brics punta a dedollarizzazione
Sono passati dieci mesi da quel vertice e non sembrano essersi registrati passi concreti. Questo non significa che l’opera di dedollarizzazione non venga portata avanti. Brics è l’acronimo coniato agli inizi del Duemila per rappresentare economie in forte crescita come Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Nel tempo la denominazione ha perso il senso originario, comprendendo tutte le economie emergenti facenti parte della sfera geopolitica meno vicina all’Occidente, se non esplicitamente ostile. Ad esempio, da poco ne fa parte l’Arabia Saudita, che nei giorni scorsi non ha rinnovato l’accordo sui petrodollari dopo mezzo secolo.
Supremazia del dollaro ancora indiscussa
Parlare di fine della supremazia del dollaro sarebbe a dir poco insensato. I dati confermano la forza del biglietto verde, che incide ancora per poco meno del 60% delle riserve valutarie internazionali. A seguire troviamo l’euro, che si ferma sotto il 20%. In pratica non esiste alcuna concorrenza temibile per zio Sam. E così sarà verosimilmente nei prossimi anni, se non per qualche altro decennio ancora. La moneta dei Brics ha un difetto di base: sarebbe il mezzo di pagamento di stati tra loro geograficamente anche molto distanti, dislocati in ben tre continenti.
Da anni lamentiamo la presunta forzatura dell’euro quale moneta comune di venti economie molto diverse tra loro e adottata da altrettanti popoli con culture e modi di pensare differenti. Tuttavia, stiamo parlando di 350 milioni di abitanti che vivono tutti nello stesso continente e quasi sempre in stati contigui territorialmente tra di loro. In più, le differenze economiche e culturali nell’Area Euro sono bazzecole dinnanzi a quelle che si registrano tra le economie facenti parte dei Brics. Il Pil pro-capite di un sudafricano è la metà di quello cinese; quello indiano è un sesto di quest’ultimo.
Interscambi ridotti tra i Brics
Per non parlare del fatto che indiani e cinesi, tanto per proporre un esempio concreto, non sentono di avere alcunché in comune. Anzi, nel loro profondo si detestano per svariate ragioni culturali, nonché per il predominio geopolitico in Asia. E su quali basi nascerebbe una moneta dei Brics, se le interazioni tra i membri sono limitate? Nel 2022 la Cina ebbe scambi commerciali con Brasile, Sudafrica, Russia e India per 500 miliardi di dollari su un dato complessivo di quasi 5.900 miliardi. Appena l’8,5% delle merci è stato esportato e importato verso e dal resto dei Brics.
Avrebbe senso per Pechino rimpiazzare il dollaro negli scambi internazionali per inseguire meno di un decimo del suo interscambio commerciale? E sarebbe contenta di accettare pagamenti in rand, rupie, rubli e real, che sono notoriamente valute poco stabili e certamente molto meno del dollaro? Perché la moneta R5 dei Brics che li rimpiazzerebbe dovrebbe risultare più solida? Cosa la garantirebbe e quale istituzione la emetterebbe? Tutte domande a cui mancano ad oggi risposte. L’unico vero fattore comune ai Brics è la disponibilità di materie prime.
Moneta Brics progetto allo stadio iniziale
C’è una vistosa tendenza ad accumulare oro da parte delle rispettive banche centrali, ma questo sembra più un progetto destinato a rafforzare le singole valute di emissione e slegato dalla volontà di emettere una moneta dei Brics. Il progetto resta in alto mare, anche se è vero che le sanzioni occidentali contro economie come Russia e Iran hanno accelerato i tempi di discussione. Gran parte del pianeta non vuole sottostare a quelli che percepisce come diktat di Nord America ed Europa. La fuga dal dollaro non c’è ancora stata per assenza di alternative (miopia dell’Eurozona), anche se cresce la voglia di limitarne l’uso alle relazioni con i soli Stati Uniti.