Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) è intervenuto a gamba tesa nel dibattito sul taglio delle tasse nel Regno Unito dopo che i mercati finanziari avevano preso di mira la sterlina e i Gilt, i titoli di stato di Sua Maestà. Ha chiesto di porre fine a una manovra fiscale in deficit a favore dei contribuenti più ricchi, in quanto aumenterebbe le disuguaglianze, a suo dire. Non era mai accaduto che l’istituto prendesse pubblicamente posizione contro uno degli stati del G7.
Secondo la bulgara, sarebbe come se da un lato si pigiasse sul pedale del freno e dall’altro sul pedale dell’acceleratore. Pertanto, ha invitato i governi a concentrare le risorse sulle fasce della popolazione che ne hanno più bisogno. Il monito dell’FMI è duplice: basta spese in deficit con il rialzo dei tassi; se azzeri i rincari per i consumatori finali, la domanda resta invariata e ciò sostiene inflazione e speculazione finanziaria.
Da questo monito, possiamo dedurre che l’FMI non veda di buon occhio che i governi europei s’indebitino mentre i tassi d’interesse salgono. Del resto, non è un’invenzione di Georgieva che politica monetaria e politica fiscale debbano camminare assieme. Se restringi la prima e tieni espansiva la seconda, sui mercati il costo del debito esplode. E questo rischia di destabilizzare i mercati finanziari.
Niente deficit con rialzo tassi, sarà stagflazione
Poiché la lotta all’inflazione è un must con i prezzi al consumo che schizzano ormai in doppia cifra, a sbagliare sarebbero i governi.
Il puzzle che va componendosi nelle ultime settimane ci spinge a credere che ai piani alti dell’establishment internazionale stiano optando per una soluzione intermedia: un po’ di alta inflazione e un po’ di crescita. E’ lo scenario che da mesi descriviamo come di stagflazione. Si verificò negli anni Settanta e durò per circa un decennio. Fu caratterizzato da alti tassi d’inflazione, alti deficit fiscali e bassi tassi di crescita del PIL. La spirale fu spezzata agli inizi degli anni Ottanta, quando l’America di Ronald Reagan e il Regno Unito di Margaret Thatcher si convinsero a disinflazionare le rispettive economie con tassi d’interesse più alti, transitando per un biennio di dura recessione. Ne uscirono con tassi d’inflazione normalizzati e tassi di crescita in deciso aumento.
Rispetto agli anni Settanta, l’Occidente risulta molto più indebitato. Ciò depone ancora più a favore di uno scenario di stagflazione. Solo con un’inflazione medio-alta i governi riuscirebbero a tenere sotto controllo il rapporto debito/PIL. Misure di austerità fiscale in una fase di quasi recessione come questa sarebbero per il momento escluse. I mercati fiutano già un compromesso e questa settimana le borse sono rimbalzate, mentre i rendimenti dei bond sono scesi. E’ la conferma delle debolezze occidentali: non siamo più in grado di sostenere qualche punto in più di costo del denaro. Siamo afflitti dai debiti.