Lo scenario di un’acquisizione di Monte Paschi di Siena da parte di Unicredit sfuma ogni giorno di più. Andrea Orcel ha rilevato il 9% di Commerzbank e parla apertamente di possibile scalata alla seconda più grande banca tedesca. Se da un lato è una buona notizia per il sistema Italia, finalmente divenuto per l’occasione predatore e non predato, dall’altro significa che Piazza Gae Aulenti abbia chiuso definitivamente la porta a Rocca Salimbeni. Ad essere sinceri, i contatti con il Tesoro si erano interrotti già nell’ottobre del 2021, quando Orcel uscì dalla data room per spiegare di non essere interessato al dossier.
Ipotesi terzo polo per Monte Paschi
Nei mesi scorsi vi avevamo accennato allo scenario alternativo “stand-alone”. Monte Paschi non si sposerebbe con nessuno, rimarrebbe single e si trasformerebbe in una public company. Ora può permetterselo, avendo risanato i conti, abbattuto i crediti deteriorati ed essendo tornata all’utile, riuscendo persino a distribuire un dividendo dopo parecchi anni.
Resta ancora un matrimonio possibile, legato alla formazione del cosiddetto terzo polo bancario. Si definisce così, perché andrebbe a costituire un soggetto di medie dimensioni dopo Intesa Sanpaolo e Unicredit sul mercato domestico. Chi sarebbero i pretendenti? Banco Bpm e Bper. Peccato che i due non ne vogliano sentire parlare. Ecco, allora, che avanza da qualche mese l’idea che ad acquisire Monte Paschi sarà Unipol, a capo tra l’altro della Popolare di Sondrio e di Bper.
Unipol sta alla finestra, per ora
L’Ad del gruppo assicurativo delle coop, Carlo Cimbri, ci starebbe pensando sul serio. Infatti, non smentisce la voce che circola. Tuttavia, deve fare i conti con il governo Meloni. Esso detiene tramite il Tesoro il 26,73% di Monte Paschi dopo una prima cessione nel novembre dello scorso anno e una seconda nell’aprile scorso. In tutto, la sua presenza si è ridotta del 37,5%.
In teoria, Roma si è impegnata con Bruxelles a privatizzare Monte Paschi entro fine anno. Questo non significa, però, che dovrà necessariamente azzerare la sua partecipazione. Basterà che il Tesoro la riduca appena sotto il 20% per ottemperare ufficialmente ai propri obblighi con la Commissione. Da qui a dicembre, quindi, si vocifera che venderà un terzo pacchetto azionario nell’ordine dell’8-10%. Se si limitasse a scendere al 19,99%, incasserebbe altri 400 milioni.
Alleanza con Axa agli sgoccioli?
A quel punto, Unipol avanzerebbe la sua offerta. C’è ancora un ostacolo. Monte Paschi ha creato una joint venture con Axa, compagnia assicurativa francese. L’accordo prevede che le filiali di Siena distribuiscano le sue polizze dietro il pagamento di commissioni. L’Ad, Luigi Lovaglio, all’inizio dell’anno faceva presente che la banca toscana ora sarebbe nelle condizioni di trattare accordi con le compagnie senza per questo dover stringere apposite partnership. In concreto, l’istituto potrà anche ritrarsi in anticipo dall’alleanza con i francesi, che ufficialmente scade nel 2027.
La rescissione unilaterale, comunque, avverrebbe dietro il pagamento di una penale inversamente proporzionale al periodo residuale del contratto in vigore. Nei mesi scorsi, essa era valutata in 850 milioni. Se Monte Paschi uscisse dalla joint venture nei prossimi mesi, la cifra da pagare sarebbe più bassa. Potrebbe attingere agli oltre 2 miliardi di capitale in eccesso, come da ultima trimestrale approvata. A quale pro? Due le strade: nuovi accordi con compagnie alternative e magari senza alcuna esclusiva, in modo da accrescere i ricavi da commissioni. Oppure rendersi appetibile agli occhi di Unipol, consentendole di distribuire le polizze tramite la propria rete.
In pratica, il matrimonio tra Monte Paschi e Unipol passerebbe per la prospettiva appetibile di creare una sorta di “bancassurance” italiana.
Monte Paschi e il nodo Unipol
C’è un problema. Dopo che Unicredit ha deciso di scalare Commerzbank, sarebbe molto più complicato per il governo Meloni opporsi a una possibile acquisizione dall’estero di Monte Paschi. Il rischio è che approfitti di questo scenario un istituto francese come Bnp Paribas. In teoria, Roma potrebbe usare il “golden power”. Ma ciò minaccerebbe i piani espansivi di Orcel, dato che in Germania si chiederebbero perché debbano farsi scalare da un soggetto italiano, quando l’Italia non si mostrerebbe altrettanto aperta alla finanza straniera. Bisogna sciogliere questo nodo al più presto, perché per Palazzo Chigi peggio di far finire Siena in mano a una compagnia italiana “di sinistra” ci sarebbe di consegnarla a una banca francese.