Il Movimento 5 Stelle si fa partito, ma per essere progressisti bisogna prima avere ideali e cultura politica

Il Movimento 5 Stelle si trasforma ufficialmente in partito, si definisce una formazione di "progressisti indipendenti", anche se non lo è.
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Movimento 5 Stelle è ora formazione dei progressisti indipendenti
Movimento 5 Stelle è ora formazione dei progressisti indipendenti © Licenza Creative Commons

Non ha dovuto attendere di diventare maggiorenne per emanciparsi. Il Movimento 5 Stelle si è trasformato ufficialmente in partito a distanza di 17 anni dalla nascita. E lo ha fatto con un atto di “parricidio” tra gli scroscianti applausi di centinaia deputati e senatori, i quali devono a Beppe Grillo la loro esistenza politica. Su una cosa possiamo concordare senza divergenze di vedute: senza il comico genovese, tutti messi insieme non avrebbero raccolto neanche i consensi necessari per far eleggere un solo consigliere nel Comune di Roccafiorita.

Movimento 5 Stelle senza più garante

Nel fine settimana, l’esito scritto della costituente all’Eur, che già è una location ben più chic rispetto alle piazze in cui il Movimento 5 Stelle sorse sull’onda del “Vaffa day” nel 2007. Quasi i due terzi degli iscritti hanno votato per eliminare la figura del “garante”, di fatto dando ragione all’ex premier Giuseppe Conte. Per Grillo finisce la sua avventura politica, remunerata per “soli” 300 mila euro all’anno in forma di consulenze retribuite. Alla faccia degli allocchi che avevano creduto allo spirito francescano dei fondatori.

Rinnegati tutti i precetti di Beppe Grillo

L’eliminazione di Grillo non è l’unica novità emersa all’Eur. E’ stato abolito anche il limite al doppio mandato. Vi ricordate quando gli ormai ex “grillini” ci spiegavano che la classe politica fosse diventata di mestieranti, a causa dei numerosi mandati ricoperti l’uno dopo l’altro? Conte ci spiega adesso che serve fare come gli altri per “combattere ad armi pari”. Geniale. Infine, sì alle alleanze, quelle contro cui sempre i pentastellati urlavano nelle piazze. L’unica alleanza possibile, dicevano, era tra eletti ed elettori.

Allearsi con chi? Con la sinistra. Perché l’ultima novità risiede nel fatto che il Movimento 5 Stelle si definisce la formazione dei “progressisti indipendenti”, formula studiata ad arte per dire che sono di sinistra e al contempo diversi dal PD.

In cosa? Conte lo chiarisce (si fa per dire) subito: “noi siamo progressisti, in quanto contrari alla conservazione”. Come dire che una cosa è nera in quanto non bianca. Ma aggiunge: “progressista significa che non ti rassegni a disuguaglianze, privilegi e mancato riconoscimento dei diritti fondamentali. Progressista significa applicare la Costituzione”.

Storia di un movimento trasformista

Peccato che per dirsi progressisti o conservatori o liberali o qualsiasi altra cosa, serve possedere, anzitutto, cultura politica, ergo ideali. E il Movimento 5 Stelle non ha la più pallida idea di cosa sia tutto questo. Irruppe in Parlamento nel 2013 con un programma rousseauiano all’insegna del “uno vale uno”, della democrazia diretta, delle dirette streaming e dei criteri rigidi comportamentali assegnati a tutti i suoi rappresentanti. Cinque anno dopo si ritrovarono già alla guida del governo, avendo ottenuto un terzo dei voti e alleandosi con la Lega. Conte fu scelto come premier dopo settimane di mediazione con Matteo Salvini.

In poco più di un anno avevano già tradito tutti gli ideali sbandierati nelle piazze, facendosi artefici di un trasformismo mai così sfacciato in un’Italia che trasformista lo è da secoli. Da anti-europeisti resero possibile con i loro voti determinanti la nascita della maggioranza Ursula in Europa. Dopo la fine del governo con la Lega passano ad allearsi con l’odiatissimo PD. Dei propositi rivendicati non c’era più traccia. Ancora un anno e mezzo più tardi entravano persino nel governo Draghi insieme a Forza Italia, altro partito contro cui ne avevano dette di cotte e di crude.

E ora siamo al “giù la maschera”. Il Movimento 5 Stelle rinnega tutto quanto aveva affermato in anni di pensiero sconclusionato contro i partiti e le istituzioni, perno di una liberaldemocrazia. Il loro essere progressisti è semplicemente un ripiego. Non essendoci spazi a destra, si buttano nell’unico angolo della politica rimasto ancora disponibile.

Come quando non trovi posto e al ristorante finisci con l’accontentarti di sedere vicino alla porta d’ingresso della toilette. Di necessità virtù. Si sarebbero potuti evitare tempi e costi di una finta costituente, inviando una velina alla stampa con quattro semplici parole: “Anche noi teniamo famiglia”.

Consensi a picco

Gli elettori, che allocchi lo sono stati, hanno mangiato da tempo la foglia. Rispetto al picco massimo di sei anni e mezzo fa, i consensi del Movimento 5 Stelle si sono ridotti dei due terzi. Alle elezioni regionali arrivare al 5% è ormai quasi un sogno praticamente ovunque. Restano sacche di consenso nel Sud del reddito di cittadinanza, ma nulla di serio. Conte non gode più di popolarità tra gli altri partiti, mentre i media di sinistra lo celebravano non più tardi di quattro anno fa come un riferimento per il fronte dei progressisti. A tal punto che se n’era convinto il medesimo.

Cosa resta di questa vicenda umana miserrima chiamata Movimento 5 Stelle? Un quindicennio abbondante di attacco alle fondamenta delle istituzioni, ai partiti e alla politica in senso ampio. Il trasformismo di un manipolo di voltagabbana senza arte e né parte, che ha dato rappresentanza semplicemente alla propria ignorante malafede. Centinaia di miliardi di debito pubblico con la stagione dei bonus a pioggia e tanto astensionismo, al punto che un cittadino su due si sente così schifato da non recarsi ai seggi.

Movimento 5 Stelle, responsabilità di tanti

Ma l’epopea del Movimento 5 Stelle è stata possibile per le responsabilità di un sistema mediatico malato, che ha cercato di delegittimare le istituzioni democratiche per scopi in parte politici e in parte ancora oggi oscuri. Gli italiani non possono uscirsene dicendo di essere stati ingannati. Si sono messi mani e piedi a disposizione di un demagogo attorniato da personaggi da avanspettacolo, sapendo cosa fossero. Hanno scommesso scientemente sul “tanto peggio, tanto meglio”, ritenendo che dal caos avrebbero potuto ricevere maggiori prebende e proseguire con i vizi di sempre.

In parte avevano persino vinto la scommessa, visto che per anni i bonus sono finiti nelle tasche di un po’ tutti. I social erano pieni di chi voleva insegnare al resto del mondo l’onestà predicata con un moralismo un tanto al chilo. Tanti profili sono stati ripuliti negli ultimi tempi. A pensare quali personaggi hanno sostenuto con convinzione, tanti italiani provano (giustamente) vergogna.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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