Le multe derivanti dalla verifica dei green pass sono illegittime e annullabili. Perché? Sostanzialmente per vizi sugli elementi essenziali riconducibili al trattamento dei dati personali e sanitari sensibili.
A dirlo è un avvocato di un noto studio legale di Milano che per il momento ha deciso di restare anonimo. Ma che sta gestendo molti ricorsi di malcapitati in controlli sul green pass da parte delle forze dell’ordine.
Multe green pass tutte illegittime
Come noto, dallo sorso mese di agosto, gli esercenti dei luoghi pubblici e aperti al pubblico dove è necessario mostrare il green pass per accedere, sono tenuti a verificare tramite l’app “verificaC19” del Ministero della Salute se la certificazione verde è valida.
Ebbene – secondo il legale – la questione è molto semplice e rovescia tutto l’impianto messo in piedi da un governo pasticcione che, per decreto, impone controlli e diffusione di dati sensibili a persone non autorizzate.
Non solo, si chiede indirettamente alle gente di circolare con documenti di identità in tasca quando non è obbligatorio farlo, magari solo per andare al ristorante o al bar. Limitandone la libertà. Col rischio che un esercente passi dalla parte del torto chiedendo ai clienti di mostrare la carta di identità (a Torino un ristoratore è stato denunciato).
Ma la questione che rende illegittima la sanzione che – lo ricordiamo – va da 400 a 1.000 euro, sia a carico dell’esercente che del cliente, nasce a monte. Il green pass è rilasciato dalle autorità sanitarie a seguito di vaccinazione, tampone negativo o guarigione da covid.
Per questo, al momento della vaccinazione, è richiesta la firma dell’informativa privacy sulla protezione dei dati personali nella quale il soggetto ricevente si impegna a non divulgarli al di fuori degli usi sanitari strettamente riservati.
Non pagare, fare ricorso
Poiché la sanzione scaturisce da una verifica di dati personali (nome, cognome e data di nascita) da parte di soggetti non autorizzati e utilizzati per fini diversi da quelli strettamente sanitari, vi è un abuso evidente e una violazione di legge sulla privacy.
Più precisamente, il paziente, al momento della vaccinazione, firma un documento che, rinviando al Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali”, non consente la divulgazione dei propri dati al di fuori dei confini strettamente sanitari.
Poiché i dati raccolti a fini specifici sanitari vengono utilizzati per scopi amministrativi e di controllo anagrafico, tutte le sanzioni derivanti sono annullabili se impugnate in tribunale. Si profila, così, un gran lavoro inutile per le forze dell’ordine chiamate a redigere verbali. Come è stato lo scorso anno con le multe comminate a seguito di false autocertificazioni sugli spostamenti.
Nonché un intasamento, nei mesi a venire, dei procedimenti giudiziari con conseguente rallentamento dell’attività ordinaria per cause che meritano più attenzione.