Ultimamente molto è cambiato per il principale strumento di sostegno dei lavoratori che perdono involontariamente il loro lavoro. Infatti, molte sono le novità sulla Naspi 2025. Parecchio è mutato anche riguardo l’indennità di disoccupazione, ossia la Nuova assicurazione sociale per l’impiego.
L’indennità destinata a chi perde involontariamente il proprio lavoro si sta avvicinando sempre di più all’obiettivo iniziale: non essere soltanto un semplice sostegno economico, ma anche una misura di ricollocazione lavorativa. Nel 2025, gli interessati alla Naspi, a prescindere da eventuali adempimenti relativi alle politiche attive sul lavoro, dovranno tenere a mente alcune novità molto importanti.
Naspi 2025 arriva la stretta, più difficile prenderla
Una cosa che ha già suscitato molto dibattito, per quanto riguarda la Naspi, è senza dubbio il giro di vite imposto sulla misura. Sono politiche anti furbetti, perché limitano una prassi molto diffusa tra i disoccupati: dare le dimissioni, farsi assumere di nuovo per un periodo brevissimo e poi farsi licenziare per percepire la Naspi.
Oggi, ciò che assume rilevanza sono le ultime dimissioni date. Con la Naspi 2025, la stretta è servita e per molti “furbetti” è tabula rasa. Occorrerà molto di più per tornare a beneficiare della Naspi. Infatti, per eliminare il vincolo ostativo delle dimissioni, bisognerà trovare una nuova occupazione per almeno 13 settimane.
Le novità della Naspi 2025
Da cosa parte questa novità riguardante la Naspi? Parte dal fatto che l’indennità di disoccupazione INPS può essere percepita a una sola condizione: la perdita involontaria del lavoro. Con le dimissioni, invece, la Naspi non spetta.
Quando un datore di lavoro licenzia un dipendente, deve provvedere a versare il ticket licenziamento, cioè un corrispettivo dovuto per finanziare la Naspi del lavoratore. Per il 2024, tale ticket è pari a 635,67 euro per ogni anno di servizio svolto presso lo stesso datore di lavoro. Esiste però un tetto massimo di 1.916,01 euro a carico di chi licenzia un dipendente assunto da oltre 3 anni.
Gli interessi di datore di lavoro e dipendente sulla Naspi 2025 spesso non coincidono
È evidente che l’interesse del datore di lavoro può essere quello di spingere il dipendente a dare le dimissioni. Un interesse diametralmente opposto a quello del dipendente, che invece ha tutto l’interesse a pretendere il licenziamento per poter accedere alla Naspi, altrimenti negata in caso di dimissioni volontarie.
Quando questi due interessi contrapposti coincidono, perché entrambe le parti vogliono interrompere il rapporto di lavoro, può nascere la soluzione che ora viene ampiamente limitata. Il dipendente asseconda il datore di lavoro firmando le dimissioni volontarie, e il datore di lavoro va incontro al dipendente individuando un altro impiego (spesso di breve durata), cosicché al termine di quest’ultimo il lavoratore possa percepire di nuovo la Naspi.
Ecco la stretta sui licenziamenti celati da dimissioni volontarie
La Naspi dura la metà delle settimane lavorate nei 4 anni precedenti. Se un lavoratore ha lavorato 4 anni consecutivi per lo stesso datore di lavoro, in caso di licenziamento ha diritto a 24 mesi di Naspi. In tal caso, il datore di lavoro deve versare 1.916,01 euro di ticket licenziamento. Se invece il dipendente dà le dimissioni, il datore non deve nulla. Ma se, dopo le dimissioni, il lavoratore trova subito un nuovo impiego, anche solo di poche settimane, al termine di quest’ultimo può tornare a prendere i 24 mesi di Naspi, come se le precedenti dimissioni fossero bonificate.
Adesso, però, c’è il giro di vite. Per rendere effettivo un meccanismo del genere, il nuovo lavoro deve durare almeno 13 settimane. Altrimenti, le dimissioni precedenti resteranno un elemento ostativo alla Naspi. Questa nuova regola vale per chi presenta la domanda di Naspi entro i primi 12 mesi successivi alle dimissioni.
Ecco le dimissioni implicite e perché si usano spesso
Un’altra stretta sulla Naspi riguarda le dimissioni di fatto nascoste dietro un licenziamento indotto.
Tuttavia, con troppe assenze — 16 giorni di assenze ingiustificate — si parla di dimissioni implicite, che non danno diritto alla Naspi. In pratica, dopo molte assenze, il rapporto di lavoro, anche senza dimissioni esplicite, viene considerato concluso per volontà del dipendente.