Durante un rapporto di lavoro possono sorgere numerose problematiche che portano le parti in causa, cioè il datore di lavoro e il lavoratore dipendente, all’interruzione del rapporto di lavoro. Questo sia per volontà del dipendente che per volontà del datore di lavoro. Nel primo caso si parla di dimissioni volontarie, nel secondo caso di licenziamento. Dal punto di vista strettamente formale cambia poco dal momento che in entrambi i casi il rapporto di lavoro cessa a partire dalla data di decorrenza delle dimissioni o del licenziamento.
Dimissioni volontarie, niente Naspi, ma una scappatoia esiste lo stesso
È noto infatti che nel caso di dimissioni volontarie il lavoratore dipendente perde il suo diritto alla Naspi. A volte però le dimissioni da parte di un lavoratore anche se è lui a darle, non sono del tutto volontarie. O meglio, a volte sono praticamente indotte dalla situazione che si è creata all’interno del rapporto di lavoro stesso. E in questi casi il lavoratore dipendente ormai disoccupato ha diritto lo stesso a chiedere l’indennità per disoccupati all’INPS, nonostante sia stato lui a dimettersi volontariamente.
“Salve, sono un lavoratore dipendente di una ditta che da tempo ha seri problemi economici. A tal punto che da gennaio a oggi gli stipendi che dovevo prendere sono ancora nella stragrande maggioranza dei casi insoluti. Gli stipendi del mese di maggio, giugno e luglio non mi sono stati ancora pagati. Mentre non ho ottenuto una parte dello stipendio dei mesi di marzo e aprile. Infatti il 5 luglio ho preso un acconto su queste mensilità, mentre il 30 giugno mi sono state pagate insieme le mensilità di gennaio e febbraio. E’ una situazione insostenibile, a tal punto che ormai ho deciso di dire basta.
Mi chiedevo però cosa rischio per quanto riguarda l’indennità per disoccupati. Se mi dimetto dovrei avere lo stesso diritto alla Naspi perché sono dimissioni per giusta causa. Ma come faccio a dare questo genere di dimissioni e come faccio a dire all’INPS che ho perso il lavoro per giusta causa?”
Naspi, ecco quando non spetta se la scelta è del lavoratore
Prima di approfondire il caso del nostro lettore meglio partire da cosa significa indennità per disoccupati INPS e cos’è la Naspi. Si tratta della indennità di disoccupazione ed infatti viene concessa dall’INPS ai lavoratori dipendenti che perdono in maniera del tutto involontaria, il loro posto di lavoro. In altri termini si ha diritto alla Naspi nel momento in cui il rapporto di lavoro si interrompe per licenziamento (sia individuale che collettivo) o per qualsiasi altro motivo indipendentemente dalla volontà del lavoratore. Come possono essere per esempio, la scadenza dei contratti a termine.
Chi dà le dimissioni volontariamente invece non ha diritto all’indennità. Ma questa affermazione non è valida se le dimissioni volontarie di un lavoratore dipendente nascono dalla cosiddetta giusta causa. In altri termini ci sono casi in cui anche le dimissioni di un lavoratore danno diritto lo stesso all’indennità per disoccupati INPS.
Dimissioni per giusta causa, come si danno?
Ormai per dare le dimissioni dal proprio posto di lavoro i dipendenti devono seguire quella particolare procedura telematica unica e obbligatoria oggi disponibile. Bisogna collegarsi al sito istituzionale del Ministero del Lavoro con le proprie credenziali Spid, Cie o Cns. Oppure ci si può rivolgere a un patronato o a un altro soggetto autorizzato a lavorare sotto delega del diretto interessato.
Una procedura che è la stessa sia che le dimissioni siano quelle classiche, cioè le volontarie, e sia che siano quelle derivanti da una giusta causa.
Quali sono i motivi che valgono come giusta causa in sede di dimissioni dal lavoro
Innanzitutto va detto che le dimissioni più giusta causa sono un argomento contemplato dal Codice civile. Il Codice infatti, all’articolo 2119 stabilisce che “il lavoratore ha diritto di recedere immediatamente dal rapporto, senza obbligo di preavviso, in presenza di un grave inadempimento del datore di lavoro tale da non permettere la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto”.
In genere per giusta causa si parte da situazioni e condizioni lavorative insostenibili per il lavoratore dipendente. I casi che il Codice contempla sono:
- mobbing;
- comportamento scorretto del datore di lavoro o di un superiore;
- mancato pagamento dello stipendio o di una parte dello stipendio (ma non basta un solo mese di ritardo);
- accuse ingiuste;
- molestie sul lavoro;
- modifica delle condizioni di lavoro, delle mansioni o dei ruoli, che peggiorano la situazione del dipendente;
- trasferimento immotivato del dipendente;
- mancato rispetto delle misure di sicurezza sul posto di lavoro;
- discriminazione.
Dal momento che sono tutte situazioni particolari che possono finire in contenziosi e liti davanti ai tribunali del lavoro, sono spesso gli ermellini chiamati a giudicare a stabilire se ci siano i presupposti per considerare intollerabile il proseguo del rapporto di lavoro. Perché i casi prima citati sono suscettibili di variazioni e di diverse interpretazioni da parte dei giudici.