La crisi morde nel Libano, dove al default di marzo si è aggiunto l’imprevisto della pandemia, con il risultato di un pil in caduta libera e di una destabilizzazione finanziaria sempre meno sostenibile. Il cambio tra lira locale e dollaro sul mercato nero è crollato in pochi mesi del 60% e quel che maggiormente preoccupa è il crescente scollamento con il valore del dollaro ufficiale, così come accadde nel Venezuela nel periodo che portò all’iperinflazione. Per comprarne uno servono ormai 6.000 lire effettive, 4 volte il tasso di cambio fisso.
A causa di questo malfunzionamento del mercato valutario, ecco che iniziano ad attecchire alcune scene venezuelane nel paese, quelle dei frigo vuoti. Le immagini sono raccapriccianti e segnalano una carenza diffusa di beni, a sua volta conseguenza di scarse riserve valutarie con cui effettuare le importazioni dall’estero. E ricordiamo che il Libano è un’economia molto dipendente dalle produzioni straniere, registrando annualmente un disavanzo commerciale medio di circa il 30% del pil.
Mentre l’Argentina si avvia al nono default, il Libano è una polveriera
E il Fondo Monetario Internazionale ha lanciato l’allarme, stimando in 170 miliardi di lire (49 miliardi di dollari) le perdite accusate dalla banca centrale in questa fase di crisi, qualcosa come oltre il 90% del pil nel 2019. Numeri rigettati dal governatore Riad Salame, che sostiene che le perdite siano molto inferiori, scontrandosi sul punto anche con il governo di Hassan Diab, il quale sta cercando da mesi faticosamente di giungere a un accordo con l’FMI per ottenere aiuti. Va da sé che se i numeri di Washington non vengono nemmeno accettati, a Beirut non arriverà nemmeno un dollaro. E il consulente del governo per i rapporti con l’istituto, tale Henri Chaoul, ha accusato il Parlamento di impedire l’erogazione del prestito per non avallare le riforme pretese dall’organismo internazionale, rinviandole al futuro per non indispettire gli elettori.
Boom immobiliare trainato dalla crisi
Di certo c’è che la fiducia nel sistema finanziario libanese è svanita nel giro di pochi mesi. Salame l’aveva garantita da governatore negli ultimi 27 anni, coprendo quasi l’intero periodo post-bellico. Invece, da quando l’ex premier Saad al-Hariri si è dimesso nell’ottobre scorso per via delle proteste di piazza, innescando una crisi politica e subito dopo finanziaria, la Banque du Liban sembra non averne azzeccata nemmeno una per sbaglio. Ai risparmiatori titolari di depositi in dollari è stato di recente comunicato che potranno attingere ai conti con prelievi limitati e a tassi di cambio più favorevoli di quello ufficiale, finendo per alimentare il panico per il rischio percepito che questo denaro venga “congelato” una volta per tutte e magari persino convertito coattivamente in lire.
La lira precipita ed esplode la rabbia contro la banca centrale “ladra”
Gran parte di questi risparmiatori sono siriani, ma anche iracheni e del resto del mondo arabo, tutti attirati negli anni passati dagli alti tassi offerti dalle banche libanesi, le quali a loro volta investivano i risparmi dei clienti essenzialmente per finanziare il debito pubblico a tassi ancora più alti, istigando i governi all’azzardo morale e coniugando indissolubilmente il loro destino a quello dello stato. Adesso, strano che appaia, si sta registrando un boom di compravendite immobiliari, specie in alcuni quartieri della capitale, dove ci sono costruttori che nelle ultime settimane sono riusciti a vendere blocchi di palazzine che erano rimasti invenduti per anni.
Cosa accade è semplice: i titolari dei grossi conti in dollari stanno cercando di mettere in salvo i risparmi comprando immobili e sottraendoli così al rischio molto concreto di un imminente crac bancario, così come anche di un forte aumento dei prezzi. Si teme, cioè, la “venezuelizzazione” dell’economia libanese.