Immaginate di restare vittime di una truffa phishing. Un malintenzionato un bel giorno effettua chissà come un bonifico dal vostro conto e vi sottrae 6000 euro, una cifra considerevole e importante, visti i rincari degli ultimi tempi.

Chiedete il rimborso perché non è colpa vostra se qualcuno vi ha rubato del denaro ma dall’altra parte vi sentite dire che invece è colpa vostra. Sembra irreale ma invece è accaduto.

C’è infatti un’ultima sentenza della Cassazione per la quale se il cliente cade nella trappola del phishing e viene truffato, la responsabilità non è della Banca.

Quindi quest’ultima non è tenuta al risarcimento.

Ma cosa è accaduto esattamente, come è avvenuta la truffa phishing?

La vicenda sulla quale si è espressa la Corte di Cassazione è questa: un uomo e una donna avevano un conto BancoPosta online cointestato. Fin qui nulla di strano. A un certo punto, però, si sono accorti che su di esso erano spariti 6 mila euro a seguito di un bonifico fraudolento eseguito via web.

I due hanno quindi chiesto a Poste Italiane il rimborso della cifra ma da quest’ultima hanno ottenuto un no. Hanno deciso quindi di agire per vie legali.

In primis, il Tribunale di Palermo ha condannato l’intermediario a risarcire la somma sottratta indebitamente perché Poste non avrebbe adottato tutte le misure di sicurezza necessarie per prevenire il danno. In secondo grado, però,  il Tribunale ha deciso di respingere la richiesta di risarcimento e così ha deciso anche la Corte di Cassazione.

Le argomentazioni della Corte di Appello, infatti, escludevano la responsabilità dell’intermediario.

Richiesta di rimborso respinta

Sono diverse le motivazioni che hanno indotto i giudici a bocciare la richiesta di rimborso su indicata. La prima è che sul sito internet dell’intermediario c’è uno spazio dove sono fornite le informazioni per impedire le frodi informatiche. In particolar modo quelle relative alla truffa del phishing.

Più volte, infatti, è stato sottolineato che la Banca o Poste non richiede mai mediante e-mail, lettere o telefonate i codici personali del cliente. Inoltre sempre sul sito ufficiale ci sono anche le indicazioni per distinguere un sito vero da quello farlocco.

La Corte di Cassazione quindi “ha concluso che l’intermediario non doveva provare che l’addebito fosse stato approvato dai correntisti”.

Con questa sentenza che è la numero 7214 del 13 marzo 2023, quindi, si introduce un principio che rappresenta tutte le Banche ma anche per Poste. Parliamo di uno scudo di fronte alle richieste di risarcimento danni avanzate dalle persone truffate per phishing.

Nella sentenza si legge infatti che il correntista che digita i propri dati personali attraverso una e-mail, fraudolenta si qualifica come “imprudente e negligente”.

[email protected]