Da ieri si dibatte sulla questione “Dress code in Parlamento“.

C’è chi è a favore e chi contro l’obbligo di adottare delle regole chiare per l’abbigliamento. C’è chi lo vive come imposizione e limitazione della libertà personale e chi invece come segno di rispetto per il luogo dove si decide il destino degli italiani.

Abbiamo deciso di ascoltare la voce di due nostri giornalisti in merito: Giuseppe Timpone e Daniele Magliuolo.

E tu con quale dei due ti trovi più d’accordo? Faccelo sapere commentando sui social o scrivendoci in redazione!

La prima domanda (dress code in parlamento)

Sei contro o a favore dell’applicazione di un definito Dress Code per i rappresentanti del Governo durante l’esercizio del loro ruolo?

Giuseppe Timpone: 

Iper-favorevole.

C’è chi, malgrado un emolumento lordo di oltre 10.000 euro al mese, non ha ancora capito l’importanza di ricoprire una carica elettiva con onorabilità e decoro. In Italia, a oggi la situazione al Parlamento nazionale non è grave come in alcuni paesi stranieri. Ho notato che in assemblee come il Bundestag qualche deputato/a pensa di essere al bar a scambiare quattro chiacchiere con gli amici scapestrati dell’infanzia. Trovo tutto ciò altamente ridicolo oltre che offensivo del cittadino che s’intende rappresentare, ed ennesimo segno di declino culturale. I parlamentari non hanno scuse. Lavorano in ambienti climatizzati, per cui hanno anche la possibilità di vestire adeguatamente senza le indicibili sofferenze riservate al resto dell’umanità, ad esempio in occasione della partecipazione ai matrimoni agostani.

Daniele Magliuolo:

No, non sono favorevole al cosiddetto Dress Code. Francamente, ritengo che ci siano innanzitutto problemi più stringenti nel nostro paese. Inoltre, si rischia di fare della forma un sostituto della sostanza. La forma è anche sostanza, ma non sempre, soprattutto non in politica, dove si è quasi sempre fatto dell’arte oratoria la sostanza delle ideologie esposte.

Personalmente, ritengo che questi siano solo sofismi senza reale costrutto. Per quanto possa sembrare ragionevole non presentarsi in tenuta da spiaggia in Parlamento, lascerei comunque la libera scelta agli esponenti dei vari partiti, non limitando le loro libere scelte come se dovessero indossare una divisa. Insomma preferirei degli onorevoli culturalmente e ideologicamente preparati, anche se in jeans e t-shirt, e non casi alla Razzi (elegantissimo nell’abbigliamento, ma sconcertante in tutto il resto). In fondo, il vecchio detto dice: l’abito non fa il monaco.

Seconda domanda (dress code in parlamento)

La deputata della Lega, Simonetta Matone, ha affermato che con le scarpe da ginnastica si va da altre parti, perché in parlamento non si fa footing. Secondo lei, anche per la pratica – ammessa da lungo tempo in parlamento – del fooTTing sarebbe meglio indossare giacca, cravatta e scarpe lucide, per un tocco di eleganza in più?

Giuseppe Timpone: 

Non posso che concordare. Mi faccia essere semi-serio. Dico io, guadagnate una barca di soldi e mi spuntate in Parlamento scravattati o con le scarpe da tennis? Non vi sembra roba da miserabili? Come spendete il vostro denaro, se non per abbellire un aspetto che, soprattutto tra i politici uomini, spesse volte non spicca per capacità di attrazione fisica? Già la politica è verbalmente sempre più sgradevole, non parliamo neppure dei contenuti, quasi inesistenti. Che almeno si fornisca un’immagine meno sconcia possibile.

Daniele Magliuolo:

Non vorrei che questa questione diventasse una sorta di sfilata di alta moda, il che sarebbe davvero ridicolo. Ciò detto, alla deputata della Lega risponderei semplicemente che, magari, chi va in parlamento con le scarpe da ginnastica (che spesso costano molto di più di un elegante mocassino), probabilmente lo fa perché le trova più comode. E la comodità spesso aiuta anche a concentrarsi su questioni più urgenti.

Terza domanda (dress code in parlamento)

L’Ex ministro Cirino Pomicino ha dichiarato che “in parlamento l’abito fa il monaco”. Poi cita Cicciolina che con i vestiti non è mai andata troppo d’accordo. Lei cosa ne pensa? Ci spieghi il suo punto di vista sorvolando sulle mise “prima e dopo” delle varie Moana Pozzi, Carfagna, Minetti, Boschi…

Giuseppe Timpone: 

Questa storia dell’abito che non fa il monaco ha sinceramente stufato. Un politico vive d’immagine, inutile girarci attorno. Basta guardare ai sorrisi di plastica e ascoltare le frasi da libro cuore. Se uno si veste inadeguatamente, quale messaggio pensate che voglia trasmettere se non la propria trascuranza? Lei cosa penserebbe di un candidato o una candidata che si presentasse a un colloquio di lavoro in abiti da spiaggia? Sarà pure diligente, capace e predisposto/a all’apprendere, ma non ha compreso la prima regola elementare dello stare in società. E chi non sa stare in società, non ha generalmente molto da dire e offrire agli altri.

Non voglio entrare nel merito delle singole personalità politiche. Non sarebbe corretto, anche perché i nomi citati sono tutti femminili, come se il problema che si pone non riguardasse un po’ tutti. Ho trovato indegno, ad esempio, che l’onorevole Soumahoro abbia debuttato in Parlamento con gli stivali sporchi di fango, seppure solamente all’esterno di Montecitorio. Ci sono modi e modi di rappresentare tematiche sociali anche molto sensibili. E i fatti di poche settimane dopo hanno dimostrato che certa immagine puntava a coprire una retorica contenutistica vuota e aberrante.

Daniele Magliuolo:

A proposito della dichiarazione di Pomicino sono in parte d’accordo, anche se contraddico un po’ quanto detto nella prima risposta. Mi spiego: personalmente, quando vedo persone in giacca e cravatta scappo. È sicuramente un mio pregiudizio, senza dubbio. Spesso però l’abito elegante viene utilizzato proprio per affabulare, se non addirittura truffare. Ci sono ormai esempi tangibili anche nella realtà imprenditoriale che viviamo oggi.

I grandi nomi dell’industria tech (penso a Musk, Altman e Bezos) difficilmente indossano l’abito classico, se non per sponsorizzare qualche grande marchio di moda.

Il cosiddetto mondo nerd dei potenti ha superato da tempo questi formalismi, per concentrarsi appunto su ciò che realmente conta nel loro ambito (il fatturato e il progresso scientifico), senza dover per forza accantonare la propria personalità, la quale può essere rappresentata anche da un vestito. Si, sorvolerei effettivamente sulle mise di una Moana o una Staller. Ci sono delle leggi sul comune senso del pudore e non sta a me contestarle. Direi quindi di non passare poi da un estremo all’altro. Quindi, se la dichiarazione di Pomicino si riferisce esclusivamente a questo, sono d’accordo con lui.

Quarta domanda (dress code in parlamento)

Atteso che il Parlamento è un luogo dove un certo decoro non stona affatto e assumendo come vero che “l’abito non fa il monaco”, il senatore Razzi, sempre elegantissimo anche se molto discutibile nelle sue esternazioni, ha puntato direttamente al ruolo superiore di “Cardinale ad honorem” visti gli abiti di alta sartoria indossati durante l’esercizio a Palazzo Madama?

Giuseppe Timpone: 

L’abito da solo non basta, è evidente. Vestire con decoro in Parlamento è il primo passo fondamentale per fare politica, ma certo non ne esaurisce i doveri. Puoi indossare abiti di alta sartoria, ma se dici stupidaggini o ti atteggi a cretino, sei quello che sei. Ma nessuno mi convincerà del contrario, ovvero che si possa essere politici di alta statura presentandosi vestiti come al supermercato.

Non lontano dall’Italia, in Grecia, il punto più basso dalla politica fu toccato nel 2015. Il paese rischiò di uscire dall’euro per l’incompetenza e l’improvvisazione del Governo di allora. E guarda caso furono i mesi in cui giravano l’Europa un premier scravattato (Alexis Tsipras) e un ministro delle Finanze col giubbotto di pelle (Yanis Varoufakis). Mi lasci dire che Atene fece una figura meschina, che pagò a carissimo prezzo. E’ forse l’esempio più lampante del fatto che se ti presenti ai consessi internazionali vestito da cialtrone, come cialtrone ti tratteranno.

Daniele Magliuolo:

Ecco, il già citato Razzi rappresenta senza dubbio quel formalismo spicciolo e senza contenuti di cui sopra. Direi, inutile aggiungere altro.

Quinta domanda (dress code in parlamento)

Faccia la sua arringa finale a difesa della sua posizione e ne spieghi bene le motivazioni. Concluda rispondendo a questo ultimo quesito: agli italiani quanto interessa come vestono i rappresentanti eletti? Cosa cambia per i nostri connazionali se un parlamentare indossa scarpe lucide o da ginnastica? E perché?

Giuseppe Timpone: 

Gli italiani si sentono da molti anni umiliati da una politica pagliaccesca nei comportamenti e nelle esternazioni. L’idea che accetterebbero di essere governati anche da leader in canottiera, purché fossero bravi, non la trovo veritiera. Gli italiani chiedono di essere governati bene e con decoro. La sciatteria è sintomatica di una personalità poco matura. Il politico che ritiene di poter vestire secondo canoni personali in contesti formali, probabilmente non è in grado di capire che in gioco non c’è di certo il suo gusto, ma l’immagine di una Nazione.

E’ vero, in Germania hanno avuto per sedici anni la cancelliera Angela Merkel vestita in maniera improponibile. I più diranno che abbia compensato con la bravura, ma in verità ha lasciato macerie sul piano politico nazionale ed europeo. Un’altra donna governò per undici anni e mezzo il Regno Unito con un abbigliamento impeccabile. Il suo nome è Margaret Thatcher e fa già parte da decenni della storia mondiale per stile ed eredità politica, economica e sociale.

In conclusione, voglio far passare un messaggio con estrema chiarezza: la politica che non avverte la serietà del contesto in cui opera, non può mai fare il bene della Nazione che tenta di rappresentare. Mi permetta di far notare che c’è molta ipocrisia a sinistra sul tema. Quando l’attuale vice-premier Matteo Salvini si esibì al Papeete Beach in una scena fuori luogo e che non passerà di certo alla storia per eleganza e sobrietà, il circolo mediatico progressista gli contrappose la figura di un Aldo Moro in spiaggia in giacca e cravatta. In un certo senso, riconobbe che la serietà la fa anche l’abito.

A mio parere, quell’immagine fu anch’essa fuori luogo, perché va da sé che in spiaggia non ci si rechi col vestito. Ad ogni modo, anche gli attuali pseudo-sostenitori della libertà di abbigliamento in Parlamento hanno riconosciuto esplicitamente che l’uomo serio (o la donna seria) veste in maniera appropriata per il ruolo ricoperto.

Chi vuole indossare ciabatte, scarpe da ginnastica, jeans e giacca senza cravatta può sempre scegliere di fare altro nella vita. Risparmiateci la cafonaggine e non ce la propinate sotto forma di libertà. Il politico deve inorgoglire i suoi concittadini anche sul piano dell’immagine.

Daniele Magliuolo:

Dove sono finite le lunghe barbe dei filosofi?

I veri intellettuali e pensatori non avevano nemmeno il tempo di soffermarsi su tali sciocchezze. Certo, la libertà di vestirsi e radersi come si preferisce non deve essere confusa con la sciattezza e la mancanza di rispetto verso il prossimo. Non voglio sostenere che bisogna andare in un luogo pubblico puzzando come un suino sudato. Francamente, però, non mi pare che i nostri politici si siano presentati in Parlamento con le infradito da spiaggia e il costume. O con lingerie di pizzo e perizoma. Come dicevo, non bisogna passare da un estremo all’altro.

Davvero agli italiani oggi preme sapere come vestono i nostri rappresentanti politici? C’è la questione del reddito di cittadinanza che rischia di diventare una bomba sociale. C’è quella delle pensioni ancora tutta da decidere. Se agli italiani preme tanto la questione Dress Code allora servirebbe un referendum, ma sarebbe surreale arrivare a tanto. A ogni modo, se il Dress Code dovesse essere approvato, socraticamente (per rimanere in tema filosofico) accetterò quel che la maggioranza (la quale dovrebbe sempre rispondere al volere dell’elettorato) avrà deciso.