Niente patrimoniale per Tria, ma all’estero smaniano per tassare la ricchezza delle famiglie italiane

La ricchezza delle famiglie italiane fa gola agli organismi internazionali, che continuano a propinare la ricetta dell'imposta patrimoniale per abbattere il nostro gigantesco debito pubblico. Ecco perché sarebbe la soluzione sbagliata.
6 anni fa
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Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, smentisce l’ipotesi di una imposta patrimoniale, come reclamata dall’ultimo Fiscal Monitor del Fondo Monetario Internazionale di pochi giorni fa. Nessuna nuova stangata sulle case, insomma, anche se si mostra scettico sulla “flat tax”, la tassa piatta al 15%, che il vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, vorrebbe fosse inaugurata dal prossimo anno con la nuova legge di Stabilità. “Purché sia progressiva”, ha spiegato Tria, che dimostra ancora una volta o di non capire la ratio della flat tax – se è piatta, non può essere progressiva – o di essere in aperta malafede nell’indicare soluzioni contraddittorie.

Patrimoniale volontaria per abbattere il debito pubblico, ecco come

Ad ogni modo, le attenzioni morbose degli organismi internazionali verso l’Italia non vengono mai meno. Da anni, OCSE, FMI e la stessa Commissione europea ci spiegano che il debito pubblico italiano dovrebbe essere abbattuto attraverso una patrimoniale. E’ diventata un’ossessione all’estero, tanto che il governo Monti a fine 2011 nacque tra l’eccitazione di quanti, alle dipendenze di tali organismi, speravano che l’Italia avrebbe trasferito risorse dalle famiglie allo stato, tramite una fonte di gettito stabile e legata ai patrimoni, oltre che ai redditi. Un po’ è avvenuto con il ripristino della tassazione sulle prime case, stangando imbarcazioni, auto di grossa cilindrata, conti bancari, etc. Gli effetti di tale ricetta si rivelarono disastrosi: l’economia italiana restò in recessione per due anni e mezzo ancora e il pil si contrasse di altri 4 punti e mezzo.

Anziché prendere atto della realtà, all’estero hanno accresciuto le loro pressioni per una svolta ancor più radicale sul fronte della tassazione. Come mai? I ragionier Filini che affollano gli uffici studi internazionali notano sgomenti come le famiglie italiane risultino tra le più ricche al mondo in rapporto ai loro redditi, mentre il piatto a Roma piange.

Alla fine del 2017, le prime possedevano ricchezza per un valore totale di circa 10.000 miliardi di euro, di cui 4.400 in forma finanziaria e 6.300 investita in beni reali, essenzialmente fabbricati e terreni.

Italiani invidiati all’estero per la loro ricchezza

Parliamo di qualcosa come 5,5 volte il pil. Della ricchezza finanziaria, sappiamo che oltre 2.000 miliardi risultano investiti in varie forme di risparmio gestito e altri 1.500 miliardi si trovano depositati sui conti delle banche, di fatto infruttiferi. Al netto delle passività, vale 3 volte il reddito disponibile degli italiani, superiore al 2,7 della Francia e al 2,1 della Germania. In pratica, noi italiani continuiamo ad essere più ricchi di francesi e tedeschi, ovvero a possedere risparmi e beni più elevati in rapporto ai nostri redditi. Poiché presso gli uffici studi non si va molto per il sottile, la somma di “2+2” è presto fatta: “tassate la ricchezza e abbattete il debito”.

Patrimoniale del 20% sulla ricchezza degli italiani? Proposta demenziale, inutile e impossibile della Germania

Una soluzione siffatta non andrebbe bene per numerose ragioni. La prima riguarda i numeri: in teoria, potremmo benissimo prelevare dalle tasche delle famiglie anche tutti i 2.300 miliardi di euro necessari ad annullare il debito pubblico, con la conseguenza che la loro ricchezza continuerebbe a rimanere alta. Ma una cosa è la teoria, un’altra la pratica. La ricchezza degli italiani è solo in parte liquida, come quei 1.500 miliardi depositati in banca di cui vi dicevamo. Per il resto, trattasi di case, terreni, uffici, quadri, gioielli, azioni, obbligazioni, fondi d’investimento, fondi pensione, assicurazioni, etc. Come si potrebbe mai trasferire in misura massiccia ricchezza da questi assets allo stato senza provocare un terremoto economico e finanziario?

Vi immaginate cosa accadrebbe se da un giorno all’altro, dai vostri conti correnti e deposito sparissero 5.000, 10.000 o più euro? A parte che tale liquidità verrebbe sottratta alle banche, le quali rimarrebbero a corto di denaro da investire, infliggendo un duro colpo al mercato del credito e potenzialmente intaccando la fiducia dei clienti verso la loro stessa liquidità, l’effetto sui consumi sarebbe depressivo e, oltre tutto, milioni di risparmiatori correrebbero verosimilmente agli sportelli per ritirare fino all’ultimo centesimo, magari spostando le somme residue all’estero.

 Ancora peggio se si cercasse di prelevare ricchezza investita in assets finanziari, perché l’unico effetto che la misura avrebbe sarebbe di mandare a gambe per aria i mercati azionari, obbligazionari, i fondi d’investimento, pensione, le compagnie assicurative, etc.

Patrimoniale inutile e persino inattuabile

Dunque, ipotizzare una soluzione una tantum per abbattere il debito è da asini della matematica. A questo punto, ai tifosi della patrimoniale non resta che confidare in piccoli prelievi strutturali: una imposta del tot% all’anno sulla ricchezza detenuta dalle famiglie. In Francia esiste, oltre una certa soglia. Ad esempio, potremmo immaginare di stangare allo 0,5% i patrimoni (case, terreni, conti in banca, preziosi, etc.) detenuti dalle famiglie oltre i 200.000 euro. Se posseggo beni per un totale di 500.000 euro, dovrò versare al fisco 1.500 euro (0,5% sui 300.000 sopra la franchigia) all’anno. Ma si tratterebbe di una pia illusione. Anzitutto, perché le aliquote applicate dovrebbero essere basse per non creare contraccolpi allo stato di liquidità delle famiglie, le quali possono anche essere proprietarie di immobili di valore, ma non per questo possedere il contante da pagare allo stato. Ne consegue che il gettito annuo extra risulterebbe altrettanto basso e tale da non migliorare significativamente i conti pubblici, specie se dovesse essere compensato da un calo di entrate per gli effetti recessivi che simili misure provocherebbero su consumi, investimenti e produzione.

Rischio patrimoniale reale o è solo una battuta di Berlusconi?

Secondariamente, gli italiani reagirebbero a una patrimoniale cercando di minimizzare o finanche azzerare il costo. Come? O investendo in assets eventualmente non oggetto della stangata o trasferendo all’estero ricchezza, se utile come scappatoia; o ancora, smettendo di accumulare risparmi, consumando tutto o quasi il reddito disponibile.

Qualcuno ribatterà che quest’ultima reazione avrebbe il beneficio di stimolare i consumi e il gettito IVA, ma dovrebbe anche impensierirsi di un’economia che non risparmi, perché resterebbe alla mercé dei capitali stranieri per gli investimenti, nonché per rifinanziare lo stesso debito pubblico.

Infine, gli effetti politici. Da sempre sottovalutati dai “geni” che presiedono rinomati istituti economici internazionali. Oggi, tutti all’estero definiscono l’Italia un rischio “sistemico” per l’Europa, a causa del governo euroscettico che la guida da quasi un anno, sostenendo che intaccherebbe la fiducia dei mercati verso la nostra economia. Nessuno si chiede come si sia arrivati a tanto, come sia stato possibile che il popolo più europeista del continente sia oggi quello che meno sostiene la UE. In pochi ammetteranno che la madre di tutte le rabbie popolari ebbe a che vedere con i tecnici al governo nella pessima stagione 2011-’13, quando le ricette tassaiole dell’FMI vennero applicate come se non vi fosse un domani, creando nuove sacche di povertà e provocando una crisi da cui non ci siamo più ripresi.

Patrimoniale una iattura sul futuro dell’Italia

La patrimoniale non ci sarà mai, per fortuna, semplicemente perché sarebbe la soluzione ridicola di chi, per sua stessa ammissione, sbagliò 8 anni fa a stimare i moltiplicatori fiscali, sottovalutando di ben 4 volte l’impatto negativo che le più alte tasse avrebbero avuto sul pil. Da economisti simili bisognerebbe darsela a gambe, altro che attenderne la pubblicazione dei report periodici. E, invece, c’è chi in Italia continua a pendere dalle loro labbra, come se disponessero del Sacro Graal della crescita e del risanamento fiscale.

Perché patrimoniale, più IMU e più IVA completerebbero la distruzione dell’economia italiana

L’Italia, che ne possano dire sedicenti esperti internazionali, esita avanzi primari anche corposi da inizio anni Novanta e pensare che bisogna accrescerli ulteriormente per azzerare il deficit appare impraticabile per le stesse analisi dell’FMI, che suggeriscono per la Grecia surplus inferiori di un paio di punti di pil, rispetto al 3,5% imposto da Bruxelles per i prossimi decenni. Sono gli alti interessi a strangolare i nostri conti pubblici, frutto perlopiù della sfiducia cronica riscossa dall’Italia sui mercati, a loro volta dipendente in larga parte da questi infiniti report internazionali, che mettono la nostra economia sul banco degli imputati per distogliere l’attenzione da altri reali rischi sistemici, come l’eccessivo indebitamento del settore privato e la bolla immobiliare nel Nord Europa, due fenomeni peraltro tra loro connessi.

Le elucubrazioni continue sulla patrimoniale, tra smentite e tifo, alimentano quel circolo vizioso della sfiducia tra famiglie e imprese, che frenano consumi e investimenti, perpetuando la depressione economica. Ne è la prova quella immensa liquidità infruttifera parcheggiata in banca, di fatto la spia di un’Italia timorosa che qualcosa di brutto possa accaderle, che prima o poi lo stato le chieda l’ennesimo conto per far quadrare le entrate. E, soprattutto, il mercato immobiliare è l’unico in Europa a continuare a franare (anche in Svezia, ma dopo anni di boom dei prezzi), proprio per l’alta tassazione caricatagli addosso dal 2012, con contraccolpi psicologici piuttosto violenti in un Paese, dove la casa è stata identificata con la famiglia e l’investimento per eccellenza, mentre ad un certo punto il mattone si è rivelato tradire tale convinzione pluridecennale.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
Il suo motto è “Il lettore al centro grazie a una corretta informazione”; ogni suo articolo si pone la finalità di accrescerne le informazioni, affinché possa farsi un'idea dell'argomento trattato in piena autonomia.

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