Si infittiscono le proposte dei partiti per una riforma pensioni che scongiuri il ritorno della Fornero nel 2023. Le promesse paiono però più degli slogan elettorali che concreti progetti di cambiamento dell’assetto attuale della previdenza.
Lo scoglio principale con cui bisogna fare i conti sono le spese. L’Inps ha già messo in guardia il Parlamento che la spesa pensionistica ha raggiunto nel 2021 quota 312 miliardi. Spazi di manovra per fare altro debito sulle pensioni non ce ne sono più. Anzi si è già andati troppo in là con Quota 100.
La riforma pensioni secondo Damiano
Sul punto. Cesare Damiano, esperto di previdenza ed ex ministro del Lavoro, ha bocciato di netto Quota 41 proposta da Lega e sindacati. Ritenendo altresì inopportuno proseguire con Quota 102 che ha finora prodotto scarsi risultati. Solo poche migliaia di lavoratori vi hanno finora aderito.
Su Quota 41, invece, si tratta di spendere altri 18 miliardi di euro, fino al 2025, secondo le previsioni Inps. Il che è francamente irrealizzabile, anche perché il premier Mario Draghi ha già messo il veto su qualsiasi riforma pensioni che non sia finanziariamente sostenibile. E tempo per aggirare l’ostacolo entro fine anno quando sarà varata la legge di bilancio non ce n’è.
Quota 102, si spegnerà da sola il 31 dicembre. Quota 41, invece, rischia di rimanere un progetto inutile. Oltretutto andare in pensione con 41 anni di contributi versati indipendentemente dall’età non produrrebbe particolari vantaggi sociali. Già oggi si può uscire dal lavoro con 1-2 anni e 10 mesi in più, come previsto dalle regole Fornero.
La flessibilità in uscita
Quello che indica Damiano, invece, è di sostenere l’uscita flessibile dei lavoratori, magari facendo leva maggiormente sulla tipo di lavoro svolto. Il presidente della Commissione lavori usuranti preme infatti per allargare il beneficio di Ape Sociale a chi svolge mestieri di questo tipo e ancora non inclusi nel diritto all’anticipo pensionistico.
Molti lavoratori meritano di rientrarvi. A partire dagli insegnati delle scuole secondario dopo che sono stati agevolati all’uscita con Ape Sociale quelli delle scuole primarie. Ma anche i taxisti o gli infermieri. Insomma tante altre categorie di lavoratori ancora esclusi.
Per chi svolge un lavoro normale, non usurante, invece, dovrebbe essere concessa la possibilità di uscire a 63-64 anni con una piccola penalizzazione. Una proposta che era già stata presa in esame dall’economista Michele Raitano.