Aumento dei tassi di interesse e fine dei programmi di acquisto dei bond da parte della Banca Centrale Europea rappresentano un forte mal di testa per il governo Meloni. Nel 2024 dovrà trovare sul mercato altri 480 miliardi di euro, circa 45 in più rispetto all’anno in corso. E sui BTp pende il giudizio dell’agenzia Moody’s, il cui rating è già al livello più basso dell’area “investment grade”: Baa3 con outlook negativo. L’eventuale declassamento di questo venerdì 17 (non un bel giorno per gli scaramantici!) scaraventerebbe i titoli del debito pubblico italiano tra i “junk” o “spazzatura”.
E’ un’ipotesi terribile, perché costringerebbe i fondi d’investimento a liberarsi dei BTp per ragioni statutarie e regolamentarie. I rendimenti italiani esploderebbero e vivremmo un’altra crisi dello spread. Ad oggi, però, i dati ufficiali raccontano una storia diversa. Solo quest’anno al 31 luglio scorso, le famiglie italiane hanno incrementato le loro esposizioni verso i titoli di stato di 83 miliardi di euro. La loro quota è salita dal 7,2% al 9,9%. E anche gli investitori stranieri, checché se ne dica, hanno arrotondato la loro percentuale dal 26,8% al 27%, acquistando debito pubblico per altri 34,5 miliardi netti.
Corsa ai BTp non finita
Nel frattempo lo stock è cresciuto di 100 miliardi, ma a conti fatti la somma degli acquisti netti di famiglie residenti e investitori stranieri supera abbondantemente tale cifra. Questo spiega perché, tutto sommato, lo spread sia rimasto sotto controllo. E la corsa ai BTp non è finita tra gli italiani, a caccia di rendimenti reali positivi dopo anni di magra. Quanto agli investitori stranieri, la loro riluttanza a buttarsi sui nostri bond deriva dalla percezione del rischio sovrano. Se Moody’s confermerà il suo giudizio questa settimana, è probabile che sul mercato si riaccendano i fari sui BTp per aumentare le esposizioni, grazie ai rendimenti superiori a quelli offerti dai governi nel resto dell’area.
Gli spread verosimilmente stringerebbero un altro po’, considerato che il Portogallo offra rendimenti decennali di oltre l’1% più bassi e la Grecia superiore al mezzo punto percentuale in meno. L’eccezione italiana ha a che fare con la paura che l’aumento dei tassi di interesse renda meno sostenibile il debito pubblico italiano, già secondo per dimensioni rispetto al PIL in Europa e solo dopo la Grecia. Se i toni a Francoforte muteranno al board di fine anno, la tensione a carico dei BTp si allenterà. Gli acquisti potranno accentuarsi.