L’inflazione morde e secondo le ultime stime della Commissione europea, rese note oggi, nell’Eurozona salirà al 2,2% nel 2022. La BCE aggiornerà pubblicamente le sue previsioni all’ultimo board dell’anno, che si tiene a dicembre. Difficile immaginare che non riveda al rialzo i dati. E così, il governatore austriaco Robert Holzmann mette le mani avanti sul possibile stop al “quantitative easing” da qui a un anno o poco meno. Il banchiere centrale di Vienna sostiene che il programma di acquisto dei bond ordinario potrebbe essere sospeso già entro il mese di settembre dell’anno prossimo o in autunno.
Il PEPP, piano da 1.850 miliardi di euro varato nel marzo 2020 per reagire alla pandemia, cesserà di esistere nel marzo 2022. Dopodiché, gli acquisti dei bond proseguiranno con il “quantitative easing”, varato a inizio 2015 e sospeso solamente per il 2019. Attualmente, è fissato in 20 miliardi di euro al mese. Tuttavia, per evitare una brusca caduta degli acquisti dopo la cessazione del PEPP, la BCE sta discutendo al suo interno circa l’opportunità di potenziarlo. Le cifre che circolano vanno dai 40 ai 60 miliardi.
Senza quantitative easing torna lo spread
Il punto è che con l’inflazione sopra il target, si riducono gli spazi di manovra dell’istituto. Finora, la linea ufficiale del board, simile a quella di tutte le altre principali banche centrali, è che si tratti di un fenomeno transitorio, destinato a rientrare nel 2022. Tuttavia, Holzmann fa parte di quella schiera di banchieri scettici sulla temporaneità dell’alta inflazione. “Non scommettere troppi soldi su un’inflazione sotto il 2% a fine 2022”. Se crescerà il numero di quanti credono che l’inflazione resterà alta nei prossimi mesi, il consensus politico attorno al potenziamento del “quantitative easing” verrà meno. Anzi, avanzerà lo spettro di acquisti del tutto cessati già entro il 2022.
Gli analisti non credono che la BCE porrà fine agli acquisti prima della fine del 2023.
Cosa significherebbe la fine anticipata del “quantitative easing” per i nostri BTp? Non è difficile capirlo. L’anno prossimo, il Tesoro dovrà emettere debito netto per oltre 100 miliardi di euro. Il calcolo non tiene conto di prestiti e sussidi ricevuti dall’Italia, né delle emissioni necessarie per finanziare la partecipazione del nostro Paese al Next Generation EU. Senza acquisti di bond potenziati dopo il PEPP, resterebbero scoperte emissioni nette per 40-50 miliardi di euro. Se, poi, il “quantitative easing” dovesse essere interrotto bruscamente nel corso dell’anno (ad oggi, ipotesi poco probabile), il “gap” risulterebbe ancora maggiore. I rendimenti italiani schizzerebbero e tornerebbe la febbre da spread.