Dieci anni fa, una delle dittature più spietate e certamente la più chiusa al resto del mondo perdeva il suo leader. Un malore improvviso si portava via Kim Jong Il, al potere dal 1994 e figlio di Kim Il Sung, il Caro Leader ancora oggi formalmente capo dello stato in Corea del Nord. A succedergli fu un giovanissimo e sconosciuto Kim Jong Un, allora meno che trentenne.
A 10 anni dall’ascesa al potere, il dittatore ha riunito il Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori.
A dire il vero, Kim Jong Un non ha varato alcuna reale riforma economica in questi anni. Semmai, fino agli inizi dello scorso anno il suo regime si limitava a tollerare forme di iniziativa privata, come la nascita informale di numerosi negozi. Poi, la pandemia. Frontiere chiuse con la Cina, praticamente unico partner commerciale. La necessità di impedire che i prezzi dei beni di largo consumo esplodano ha spinto il governo ad azioni repressive ai danni dei contrabbandieri lungo il confine.
Kim Jong Un alle prese con un’economia al collasso
In queste ultime settimane, alcuni blitz avrebbero preso di mira i cambiavalute, rei di non accettare i “donpyo”, un termine con cui si designano i voucher emessi dal governo a partire dal mese di settembre. Il loro taglio ufficiale è di 5.000 won, pari a meno di 5 euro al cambio fisso ufficiale.
Dal North Korea Daily emerge che agli arrestati sarebbe stata inflitta la pena del carcere a vita, anche se molto più probabilmente saranno stati condannati a 15 anni di prigione e ai lavori forzati. All’estero, gli analisi si chiedono perché Pyongyang stia emettendo questi voucher. La risposta si troverebbe nella carenza di carta disponibile per la stampa delle banconote ufficiali, la quale deve essere importata dall’estero. Al contrario, i “donpyo” sono stampati con carta al 100% domestica. Ma la sua qualità è scarsissima e anche questo fattore contribuirebbe ad alimentare la sfiducia tra le famiglie circa il loro valore reale.
Il PIL nel 2020 è sceso del 4,5% ed è atteso in calo anche quest’anno. Pur non essendo noti i dati ufficiali, si stima che esso fosse di circa 35 miliardi di dollari prima della pandemia, qualcosa come neppure 1.500 dollari pro-capite. Nei mesi scorsi, il cambio al mercato nero risulta essersi rafforzato, un fatto apparentemente paradossale per un’economia al collasso. Eppure, il trend sarebbe la conseguenza del prosciugamento degli scambi commerciali, il quale avrebbe fatto venire meno la domanda di dollari. E si teme che il governo abbia inasprito la repressione sulle detenzioni di valuta estera.