Se il contratto a termine viene snaturato del suo scopo, il datore può essere obbligato a trasformarlo in contratto a tempo indeterminato? Ci scrive Laura da Latina: “Sono stata assunta nell’ufficio di una famosa agenzia immobiliare, di cui non faccio il nome onde evitare ripercussioni, con contratto a tempo determinato della durata di tre mesi. Con il rinnovo mi era stato promesso il passaggio all’indeterminato ma mi è stato fatto un altro contratto a 6 mesi e, la terza volta, ad un anno. Ora quest’ultimo sta per scadere e io ho paura che non mi sia rinnovato. Ho qualche tutela? Di fatto le mie mansioni sono di segreteria e back office quindi la forma del contratto a termine non è giustificata. Sbaglio? Posso costringere il datore di lavoro a passarmi al contratto a tempo indeterminato?”
Un recente caso di giurisprudenza si è occupato di uno scenario simile.
La fattispecie è anche l’occasione utile per ribadire alcune regole entrate in vigore con il Decreto Dignità proprio in materia di assunzioni con contratti a tempo determinato.
Più nello specifico, per i contratti a termine avviati dal 14 luglio 2018, sono imposti i seguenti paletti e limiti:
- durata massima di 24 mesi per tutti i rapporti intercorsi con il medesimo datore per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, in luogo del precedente limite imposto dal Jobs Act pari a 36 mesi;
- numero massimo di 4 proroghe nell’arco di 24 mesi, una in meno quindi rispetto alle 5 previste dal vecchio regime;
- giustificazione del rapporto da apposite esigenze aziendali al superamento dei 12 mesi, sia per effetto di un unico contratto che di una o più proroghe.
Per quanto riguarda l’ultimo punto, è previsto un elenco tassativo di causali:
- Esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività;
- Esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
- Esigenze legate ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
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