E’ di qualche giorno fa la notizia che il fondatore e CEO di BlackRock, Larry Fink, nella sua lettera annuale indirizzata ai dirigenti delle società partecipata abbia scritto che la sostenibilità sosterrebbe i profitti e, soprattutto, che dovrebbero pagare meglio i lavoratori, perché stipendi più alti porterebbero a una competizione essenziale per il capitalismo. Il finanziere più influente di Wall Street ha fatto presente come il mondo del lavoro stia cambiando e i dipendenti non sembrano più disposti a lavorare per poco.
Negli stessi giorni, 102 super “paperoni” hanno scritto al World Economic Forum che desiderano pagare più tasse. “Tassateci ora e il giusto” è stato il succo della loro missiva. Tra questi, Abigail Disney, erede di Walt Disney. Sembrano due notizie surreali, quasi come se il mondo stesse andando alla rovescia. I ricchi che chiedono di potere pagare più tasse e la finanza che reclama stipendi più alti per chi lavora.
L’ipocrisia dietro ai buoni propositi della finanza
Ma la realtà è molto più prosaica. Anzitutto, cos’è BlackRock? Parliamo della più grande casa d’investimento al mondo con asset gestiti per oltre 10.000 miliardi di dollari e partecipazioni in migliaia di società quotate ovunque. Se le partecipate applicassero alla lettera quanto richiesto da Fink, i loro margini di profitto chiaramente si ridurrebbero, a meno che non fossero in grado di scaricare i maggiori costi sui clienti finali, cosa molto complicata in un sistema globalizzato e altamente concorrenziale. I minori profitti ridurrebbero a loro volta le valutazioni delle azioni e BlackRock si ritroverebbe a gestire asset dal valore inferiore. I suoi clienti non apprezzerebbero affatto.
E i 102 ricconi? Se volessero pagare più tasse, nessuno stato glielo impedirebbe.
Questione di pura immagine
E allora da cosa nascono queste iniziative? Brutto a dirsi, ma l’essenza della finanza di oggi è l’ipocrisia. I finanzieri hanno compreso che nel mondo iper-connesso h24 le informazioni circolano velocemente e su ogni aspetto della vita sociale, politica, economica e finanziaria. Per accattivarsi l’opinione pubblica, escogitano ormai quotidianamente soluzioni acchiappa-like. Cresce la sensibilità ambientale? E io mi invento i green bond con cui mi rifinanzio a basso costo sui mercati, spesso solo fingendo di contribuire a disinquinare il pianeta. La pratica è nota come “greenwashing” e minaccia la credibilità dell’intero comparto.
I consumatori finali sono sensibili ai diritti sociali, per cui non vedono di buon occhio che certe multinazionali producano impiegando la manodopera a basso costo, magari persino minorile? Ecco spuntare la finanza sostenibile o ESG, per cui creo decaloghi fittizi di obiettivi da raggiungere e norme comportamentali, grazie ai quali posso ripulire l’immagine societaria e darle un’aura di vicinanza al sentire comune. E’ tutta immagine. Nessuno davvero vuole pagare più tasse, altrimenti lo farebbe già. Nessuno crede che bisogna aumentare gli stipendi, perché questo implicherebbe la riduzione dei margini di profitto. Nessuno, infine, è sinceramente mosso da ragioni ambientali e di sostenibilità sociale, le quali servono a vendere meglio il proprio debito. La grande finanza ha stretto un “pactum sceleris” con segmenti dell’opinione pubblica e della sfera politica teoricamente più ostili ai propri interessi con l’intento di tenerli a bada per continuare a fare business senza essere disturbata.