Sul mercato è arrivata questo martedì la nuova tranche del cosiddetto EU-Bond a 30 anni, scadenza 4 ottobre 2052 e cedola 2,50% (ISIN: EU000A3K4DT4). L’emissione è avvenuta per mezzo di un collocamento sindacato, l’ottavo di quest’anno. Ad essersi occupate dell’operazione sono state Barclays, BNP Paribas, Citi, LBBW e NatWest. L’importo offerto è stato di 4 miliardi su un totale di 40 miliardi che la Commissione europea intende raccogliere in questa seconda metà dell’anno. Altissimi gli ordini, che sono arrivati a 73 miliardi, superando le 18 volte l’offerta.
L’EU-Bond a 30 anni è stato prezzato a 83,131 centesimi, esitando un rendimento lordo annuale alla scadenza del 3,422%, a premio di 66 punti base sul tasso mid-swap e di 87 sul Bund della Germania. Ancora oggi, quindi, i rendimenti dell’Unione Europea lungo la curva risultano essere superiori a quelli tedeschi. Non è un problema di percezione del rischio di credito. Le emissioni della Commissione hanno rating tripla A, esattamente come quelle di Berlino. Solo che parliamo di un mercato molto meno liquido, vista la sua nascita recente e per importi assai limitati.
EU-Bond safe asset con qualche accorgimento
Anche per questo da quest’anno le emissioni dell’Unione Europea avverranno tutte sotto la denominazione EU-Bond, che rimpiazzerà le altre utilizzate fino a pochi mesi fa. Ad esempio, nello specifico quella di martedì servirà a finanziare il piano noto come Next Generation EU e il Macro-Financial Assistance a favore dell’Ucraina. Se tramite il codice ISIN cercaste questa emissione, trovereste ancora la denominazione EU Next Generation. In effetti, la prima tranche debuttò sotto questo nome. L’idea di unificare le varie denominazioni sorge proprio a seguito dell’esigenza percepita di aumentare il grado di liquidità del mercato sovranazionale, così da abbassare i rendimenti in linea con i solidissimi giudizi di cui gode tra le agenzie di valutazione internazionali.
Investire nell’EU-Bond 2052 non comporta sostanzialmente alcun rischio di credito. Le probabilità di un default di Bruxelles, i cui debiti sono garantiti dagli stati membri, sono praticamente zero. Altra questione è il rischio di quotazione a cui l’investitore si espone. Trattandosi di una scadenza lunghissima, il prezzo si mostra assai sensibile alle variazioni dei tassi di mercato. Basti pensare che nel dicembre scorso questa emissione era tornata a sfiorare la parità, mentre nei mesi scorsi ha toccato punti minimi in area 80 centesimi. Chi lo inserisse in portafoglio, avrebbe un “safe asset” certamente redditizio a sufficienza per tutelarsi contro l’inflazione attesa nel medio-lungo periodo. Allo stesso tempo, ne alzerebbe la qualità media.