Come ampiamente annunciato, la Commissione europea ha presentato ieri le sue proposte per giungere alla riforma del Patto di stabilità con l’obiettivo di fissare nuovi criteri per le regole di bilancio comunitarie. La palla passerà sin dalle prossime settimane al Consiglio europeo, vale a dire ai 27 capi di stato e di governo dell’Unione Europea. Dopodiché toccherà anche all’Europarlamento. Un processo complesso e che richiederà enormi sforzi diplomatici tra le cancellerie per arrivare a un accordo condiviso dalla larghissima parte degli stati membri.
Partiamo da due numeretti che abbiamo imparato a conoscere nel corso degli ultimi trenta anni. Il deficit massimo al 3% del PIL e il rapporto debito/PIL al 60% massimo. Le nuove regole di bilancio mantengono questi due riferimenti, i quali si confermano “aurei” per Bruxelles. Così come resta invariata la richiesta agli stati di aggiustare i conti pubblici dello 0,5% del PIL all’anno nel caso in cui avessero un deficit superiore al 3%.
Riforma Patto di stabilità, novità
E ora arrivano le novità. Fine dell’approccio unico e formalizzazione di un approccio bilaterale. Cosa significa? Fatti salvi i criteri basilari di cui sopra, le regole di bilancio saranno adattate alle condizioni effettive di ciascun paese. Ogni governo dovrà negoziare un piano di assestamento del bilancio con Bruxelles. Esso avrà durata di quattro anni, ma nel caso in cui s’impegni a realizzare riforme economiche in cambio di investimenti, il periodo può essere esteso a sette anni. In ogni caso, già dopo quattro anni la Commissione effettuerebbe una sua valutazione sui risultati.
E a tale proposito, il criterio cardine sarà di avere un rapporto debito/PIL a fine periodo inferiore a quello di inizio periodo. Inoltre, la spesa pubblica al netto degli interessi sul debito dovrà crescere a ritmi inferiori alla crescita del PIL nominale nel medio termine.
Nuove regole di bilancio politicamente divisive
Come la prenderanno i governi di sinistra e i socialisti nell’Europarlamento? In vista delle elezioni europee del 2024, la tensione tra i due principali schieramenti rischia di montare. Non stiamo parlando di dettagli tecnici, bensì di fisionomia politica delle nuove regole di bilancio. Il nuovo Patto sembra essere un buon compromesso tra le istanze dei “frugali” del Nord Europa e quelle degli stati più indebitati come Italia, Francia e Spagna. La flessibilità richiesta dai secondi c’è tutta. Una clausola di salvaguardia permetterà alla Commissione di sospendere l’attuazione delle regole di bilancio in caso di crisi economica o di altri eventi sfuggenti al controllo dei governi con impatto significativo sui conti pubblici.
L’entrata in vigore del nuovo Patto non sarebbe così negativa per l’Italia. Ammesso che le nuove regole di bilancio debuttino già dall’1 gennaio prossimo così come sono state presentate dalla Commissione, Bruxelles ci chiederebbe di ridurre il rapporto debito/PIL al 2027 sotto i livelli del 2024; che non sforiamo il tetto del 3% di deficit e che la crescita della spesa netta risulti inferiore a quella del PIL. Tutte ipotesi ufficialmente contemplate già nei Documenti di economia e finanza (DEF) approvati nell’ultimo biennio. Del resto, la discesa del rapporto tra debito e PIL sarebbe il minimo essenziale da pretendere da un paese con un tasso sopra il 144%. Non siamo dinnanzi a un atto di masochismo fiscale.