Nuovo BTp 2036 a 15 anni, grande successo: vediamo scadenza, cedola e rendimento

Il Tesoro ha emesso ieri un nuovo bond "benchmark" a 15 anni, riscontrando grossi ordini sul mercato, similmente a quanto avvenne a gennaio con il BTp 2050. Ecco le condizioni offerte.
5 anni fa
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Nell’annunciare l’asta di domani con l’emissione di BTp a 3 e 7 anni, il Tesoro aveva altresì reso nota la cancellazione dell’asta a 10 anni, in quanto per il mese di febbraio ha dato mandato a Goldman Sachs, Morgan Stanley, Nomura, Société Générale e Unicredit per il collocamento sindacato di un nuovo bond “benchmark” a 15 anni, con scadenza 1 marzo 2036. A gennaio, il Tesoro aveva emesso con collocamento sindacato il nuovo BTp a 30 anni, con scadenza nel 2050, ricevendo ordini per 47 miliardi, a fronte dei 7 offerti.

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E proprio ieri è arrivato il lancio del bond, rivelatosi ancora una volta un successo, dati i bassi rendimenti imperanti sui mercati obbligazionari in questa fase. Gli ordini per titolo con cedola annuale 1,45% e corrisposta semestralmente hanno superato i 50 miliardi di euro, a fronte dei 9 miliardi offerti, e il prezzo di collocamento si è attestato a 99,513, esitando un rendimento dell’1,49%. Il Coronavirus sta sostenendo gli investimenti in assets sicuri come i bond e le scadenze più lunghe ne risultano avvantaggiate, grazie alla fame di “yield” dei capitali.

L’attuale benchmark è il titolo in scadenza 1 marzo 2035 e cedola 3,35% (ISIN: IT0005358806), che sul secondario scambia sopra 126, offrendo così un rendimento lordo dell’1,42%. Pertanto, il nuovo BTp a 15 anni offriva ieri pomeriggio 7 punti base in meno. Come dicevamo, il nuovo bond a 15 anni scadrà un anno più tardi, cioè nel marzo 2036. Il confronto più ravvicinato è possibile, quindi, con il BTp 1 settembre 2036 e cedola 2,25% (ISIN: IT0005177909), che quota in area 111 e paradossalmente offre un rendimento di poco inferiore all’altro, cioè dell’1,41%, pur essendo di 18 mesi più longevo e corrispondendo un tasso annuale più basso.

Conviene il nuovo BTp 2036?

Viene da chiedersi come mai il Tesoro non abbia optato per rendere quale prossimo benchmark il BTp settembre 2036.

La risposta sarebbe data proprio dalla cedola relativamente elevata. Il 2,25% risultava un tasso lordo congruo agli inizi del 2016, quando avvenne l’emissione della prima tranche. Oggi appare alta, dopo il tracollo dei rendimenti degli ultimi mesi, per cui il prezzo che questo bond tende ad esitare si attesta su livelli decisamente sopra la pari, un fatto che un po’ scoraggia gli investitori retail, date le peculiarità sul piano fiscale che ciò comporta alla scadenza.

Meglio emettere un nuovo titolo con cedola sin dall’inizio più bassa, sebbene nel caso di risalita del rendimento, esso si mostrerebbe meno capace di reggere il prezzo, a causa della più lunga “duration”. Pertanto, diremmo che se si punta a tenere il nuovo BTp 2036 a 15 anni nel cassetto fino alla scadenza, a parità di rendimento può risultare preferibile rispetto al BTp settembre 2036 o anche all’attuale benchmark. Se, invece, non si esclude un disinvestimento anticipato, i rischi della nuova emissione sul fronte prezzi appaiono più nitidi. Se il rendimento dovesse, ad esempio, salire al 2,50%, i bond già circolanti sulle scadenze quindicinali e con cedole più alte reggerebbero maggiormente il colpo, mentre quello nuovo con cedola 1,45% dovrebbe deprezzarsi maggiormente per adeguarsi alle nuove condizioni di mercato.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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