Il Tesoro collocherà un BTp sindacato a 20 anni, con scadenza 1 marzo 2040. I joint-lead manager dell’emissione sono cinque banche: MPS, Morgan Stanley, Nomura, NatWest e Société Générale. Stando alla “guidance” iniziale, il rendimento dovrebbe attestarsi a +16 punti base rispetto al BTp settembre 2038 (ISIN: IT0005321325) , che in questo momento viaggia sul filo del 3%. Il pricing è atteso in giornata. Con il collocamento sindacato, il Tesoro intende testare l’appetito del mercato per un bond a lunga scadenza, nel momento in cui i rendimenti stanno precipitando in tutto il mondo avanzato e, in particolare, nell’Eurozona, dove nelle ultime sedute aggiornano con frequenza i minimi storici.
Abbattere il debito pubblico alzando le cedole dei bond
Non è un caso che oggi i rendimenti dei BTp siano in aumento lungo la curva, tra aste tenutesi nella mattinata, tra cui di BoT a 12 mesi, e l’annuncio a sorpresa del nuovo ventennale. Il mercato si sarebbe probabilmente alleggerito di alcune posizioni, in modo da trovare risorse disponibili da impiegare per l’acquisto dei bond in fase di emissione. Interessante, però, sarebbe capire perché il nuovo “benchmark” a 20 anni passi direttamente dal settembre 2038 al marzo 2040, compiendo di fatto un salto di ben 18 mesi, quando nel mezzo vi sarebbe la scadenza di agosto 2039 e nel 2040 ve n’è già una a settembre. Non sarebbe stato meglio accrescere la liquidità di questi titoli, le cui emissioni ammontano a oltre 22 miliardi di euro a testa?
Perché il bisogno di una nuova scadenza
La risposta risiederebbe nelle diverse condizioni a cui sono avvenute le due emissioni. Il BTp agosto 2039 fu emesso nell’agosto 2007, per cui debuttò con vita residua di 32 anni, offrendo una cedola annuale fissa del 5%. Il BTp settembre 2040 venne battezzato nel settembre 2009, anch’esso recante cedola fissa annuale del 5%. In quel periodo, pre- e immediatamente post-crisi, cedole così generose per un bond a lunga scadenza erano la regola, anzi risultava inimmaginabile che qualche anno dopo la loro entità sarebbe di molto diminuita.
Oggi, però, appaiono fin troppo abbondanti persino per un emittente come l’Italia, che sui mercati non gode di ottima reputazione. Se il Tesoro emettesse nuove tranche dei suddetti bond, attirerebbe capitali cospicui per via del tasso cedolare di circa il 2% più alto del rendimento lordo, per cui i prezzi di collocamento salirebbero decisamente sopra la pari, in area 128-130, facendo incassare più del nuovo debito nominale, ma pesando sui conti pubblici annualmente in misura quasi doppia attraverso il pagamento delle cedole. Meglio, quindi, dal punto di vista del Tesoro, emettere un nuovo “benchmark”, che verosimilmente con cedole intorno o inferiori al 3% tengano bassa la spesa per interessi nei prossimi anni.
Si tratta di una scelta in sé discutibile. Se il Tesoro emettesse BTp a lunga scadenza e cedole alte, attirerebbe maggiori capitali anche per via della più bassa volatilità garantita agli investitori e in più metterebbe in cassa una liquidità maggiore con cui abbatterebbe le emissioni prossime, a beneficio del rapporto debito/pil, pur a fronte di un costo superiore per il pagamento degli interessi. Eppure, sarebbe un buon segnale se virasse proprio su una siffatta soluzione, allungando la durata media residua dello stock e stimolando l’appetito del mercato per i suoi bond più longevi.
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