E’ stata una fumata bianca quella al vertice dell’Ecofin di ieri pomeriggio. I ministri delle Finanze dell’Unione Europea hanno trovato un accordo sul nuovo Patto di stabilità. L’annuncio era nell’aria dopo che i ministri di Germania e Francia, rispettivamente Christian Lindner e Bruno Le Maire, avevano comunicato la sera prima di avere trovato un’intesa alla quale aderiva anche l’Italia. Dunque, cambiano le regole di bilancio comunitarie dopo oltre un quarto di secolo. Un maquillage che si è reso necessario, per dirlo con le parole del tedesco, al fine di renderle più “realistiche ed efficaci”.
A Roma nessuno nel governo Meloni usa parole trionfali. Tutt’altro. Si lascia trapelare “soddisfazione” per l’accoglimento di alcune proposte dell’Italia, ma anche rammarico per il fatto che le spese per gli investimenti nella transizione energetica e digitale non saranno scorporate dai calcoli sul deficit. Per capire chi ha vinto e chi ha perso, dobbiamo dare un’occhiata a quello che ci siamo lasciati alle spalle. Il vecchio Patto di stabilità prevedeva un tetto massimo al deficit del 3% e al debito pubblico del 60% rispetto al PIL. Tutti i paesi membri dell’Unione Europea dovevano tendere al pareggio di bilancio e, formalmente, tagliare il rapporto tra debito e PIL di un quinto all’anno rispetto alla quota eccedente il 60%.
Queste regole erano rigidissime a parole, nei fatti in pochissimi riuscivano a rispettarle. E la Commissione europea ci metteva del suo, concedendo di anno in anno “flessibilità” a chi sforasse i parametri stabiliti. Si veda al riguardo il trattamento di favore ricevuto negli anni pre-Covid da Francia e Spagna.
Ecco le regole del nuovo Patto di stabilità
Con il nuovo Patto di stabilità, le regole di bilancio cambiano radicalmente. Per prima cosa, i paesi che hanno un deficit sopra il 3% del PIL sono tenuti a tagliarlo dello 0,5% ogni anno.
E’ previsto anche un periodo di transizione per il triennio 2025-2027, durante il quale la spesa per gli interessi e quelle legate al Pnrr sono tenute in considerazione ai fini della determinazione degli obiettivi di bilancio. E queste sono due proposte italiane accolte per evitare che l’aumento dei tassi di interesse e il Pnrr facciano deragliare i conti pubblici degli stati, infliggendo loro ulteriori dosi di austerità fiscale.
Infine, il nuovo Patto di stabilità prevede che i paesi con un rapporto debito/PIL tra 60% e 90% lo riducano dello 0,50% all’anno e quelli con un rapporto più alto dell’1%. A conti fatti, si moltiplicano i parametri di riferimento e, soprattutto, si consente agli stati nazionali di negoziare con la Commissione aggiustamenti più flessibili, ossia di durata più lunga e minore entità su ciascun bilancio. La Germania può cantare vittoria circa il fatto che siano stati mantenuti numeri certi da raggiungere. Gli altri, tra cui l’Italia, possono mostrarsi perlomeno soddisfatti della flessibilità contenuta nel testo e, soprattutto, degli obiettivi formalmente meno rigorosi di quelli previsti dal vecchi Patto.
Obiettivi ancora complicati per l’Italia
La verità è che questo accordo fissa regole volutamente confuse per accontentare tutti e per evitare che alcuni siano considerati vincitori e altri vinti in questa partita che si giocava a Bruxelles da svariati mesi. La fase di implementazione ci dirà di più. Ad oggi, le regole di bilancio si applicavano per i nemici e si interpretavano per gli amici.
L’Italia dovrà sfoltire il rapporto debito/PIL dell’1% all’anno. Non sarebbe tanto, ma la sfida risulta ugualmente complicata. Sulla base delle previsioni macroeconomiche dello stesso governo, ad esempio, l’anno prossimo il nostro debito pubblico scenderà solamente dello 0,1%. E la crescita reale del PIL è stata probabilmente sovrastimata all’1,2%, quando gli organismi indipendenti la danno ampiamente sotto l’1%. Se dovessimo già nel 2024 centrare gli obiettivi del nuovo Patto di stabilità, il deficit dovrebbe essere tagliato dal 4,4% a cui è stato fissato almeno al 3,9%, cioè di una decina di miliardi di euro. In alternativa, dovrebbe aumentare di più il PIL, ma ciò dipende solo marginalmente dal governo. Vedremo all’atto pratico come funzionerà il meccanismo di trattamento speciale per interessi e Pnrr.