Fumata bianca nella giornata di oggi, con il Consiglio generale di Confindustria chiamato ad eleggere il nuovo presidente e successore di Carlo Bonomi. Sarà Emanuele Orsini il volto della principale rappresentanza datoriale del Bel Paese nei prossimi quattro anni. E’ stato designato con 147 voti a favore sui 173 presenti. La certezza si era avuta sin dal primo pomeriggio di ieri, quando l’unico altro candidato rimasto in corsa, Edoardo Garrone, aveva annunciato con una lettera il suo ritiro. La decisione è arrivata a sorpresa, dato che alla vigilia le previsioni davano proprio quest’ultimo in vantaggio, sebbene Orsini fosse percepito in gran recupero.
Chi è il nuovo presidente di Confindustria
Chi è Orsini e cosa significa la sua vittoria? Classe 1973, è emiliano e ha scalato sino al ruolo di amministratore delegato l’azienda di famiglia Sistem Costruzioni, attiva nell’edificazione di case in legno, nonché la Tino Prosciutti. Sotto la presidenza Bonomi di questi anni è stato vice con delega per finanza, credito e fisco. Contro di lui fino a ieri, dicevamo, c’era Garrone, 62 anni e a capo di Erg e de Il Sole 24 Ore. Nel 2014, cedette gratuitamente la Sampdoria a Massimo Ferrero con un bottino di 62,5 milioni di euro. Infine, Gozzi correva da presidente di Federacciai. Anch’egli ligure come Garrone.
Vince il fronte del Nord-Est
Il ritiro da quest’ultimo è stato giustificato dalla volontà di arrivare a una presidenza il più possibile collegiale. L’uomo avrebbe fiutato il rischio di perdere l’elezione dopo che Gozzi aveva fatto incetta di voti a favore di Orsini, spostando in suo favore l’ago della bilancia.
Confindustria è sempre stata attraversata da tensioni e differenze tra le associate di dimensioni medio-piccole e le grandi, nonché tra industria del Nord e quella meno robusta e numericamente carente del Sud. Assolombarda rappresenta la spina dorsale dell’organizzazione datoriale, rappresentando l’area più economicamente evoluta, densamente abitata e industrializzata d’Italia. Ma quali sono i compiti del presidente di Confindustria? Egli è il volto della principale associazione degli imprenditori italiani, la quale svolge nella pratica un lavoro di lobbying nei confronti delle istituzioni, dei media e dell’opinione pubblica, oltre che di studio e ricerca e di consulenza nei confronti degli associati.
Crescono le imprese associate, giù i ricavi
A Confindustria risultano associate oltre 150 mila imprese, che nell’insieme occupano circa 5,4 milioni di dipendenti e formano il 34% del Pil italiano. Ad essa fanno capo ben 215 organizzazioni, il quotidiano Il Sole 24 ore e l’Ateneo Luiss. Nel 2022 ha chiuso il bilancio con un fatturato di 38,118 milioni di euro, quasi interamente proveniente dalle quote associative, a fronte di oneri per 35,447 milioni. Tuttavia, nel 2008 i ricavi ammontavano a 51,565 milioni e le spese a 44,244 milioni. Da allora, il numero delle imprese è cresciuto, mentre evidentemente sono scesi gli introiti derivanti dalle quote associative.
Il nuovo presidente di Confindustria avrà il non facile compito di transitare il mondo dell’impresa nel periodo cruciale di attuazione del Pnrr. Le critiche all’organizzazione non mancano proprio dall’interno. Molte imprese lamentano costi non giustificati dai servizi offerti, un apparato elefantiaco e una scarsa rappresentanza degli interessi della categoria.
Stato forte, manifattura in calo
Il paradosso è che il presidente di Confindustria si trova spesso a interloquire con una controparte, che è al contempo socia. S’instaura una sorta di conflitto d’interessi che limita l’efficacia delle azioni della categoria rappresentata. Alzare troppo la voce significherebbe rischiare di perdere imprese importanti ai fini dell’immagine di forza dell’organizzazione, ma anche del bilancio. Perché le quote si pagano in base al numero di dipendenti e delle loro retribuzioni. Le grandi imprese portano ricavi e tengono in vita l’istituzione. Un colpo durissimo sul piano proprio dell’immagine e della capacità rappresentativa Confindustria lo accusò una dozzina di anni fa con l’uscita dell’allora Fiat.
Ma se il governo non è più un soggetto esterno con cui confrontarsi, viene da chiedersi quale sia diventata la vera ragione sociale. Tra l’altro l’esclusione di Gozzi dalla votazione odierna è stata accompagnata da forti critiche interne. Si è fatto notare che un rappresentante della manifattura sia stato fatto fuori, quando l’Italia avrebbe bisogno proprio un suo rilancio. Il nuovo presidente di Confindustria dovrà rispondere ad esigenze contrapposte. In primis, appunto di rilancio della manifattura e dell’intera industria italiana. E non secondario sarà puntare sull’irrobustimento delle imprese sul piano dimensionale, oltre che finanziario. Sarà farsene interprete un rappresentante della piccola e media impresa? In passato, l’autocelebrazione delle Pmi non ha portato molto di buono.
Presidente di Confindustria alla sfida delle Pmi
La crescita dimensionale è precondizione per potenziare gli investimenti, l’innovazione tecnologica e di prodotto e consentire all’industria italiana di recuperare il peso perduto nei settori ad elevato valore aggiunto.