La crescita dell’economia italiana si è fermata nel terzo trimestre. Il Pil ha segnato un +0,4% tendenziale, rimanendo invariato rispetto ai tre mesi precedenti. Secondo l’Istat, la crescita acquisita per i primi nove mesi dell’anno è dello 0,4%, ben al di sotto dell’1% stimato dal governo per l’intero 2024. E recuperare tale gap negli ultimi tre mesi appare impossibile. Ora più che mai, quindi, un nuovo taglio dell’Irpef può servire per rianimare la domanda e cercare per tale via di rilanciare la crescita per il 2025.
Rischi per crescita italiana
Ad agosto le esportazioni nette italiane sono risultate in calo su base annua. Un segnale di allarme, dato che la ripresa della bilancia commerciale lo scorso anno ci consentì di superare la crisi esplosa l’anno prima con il boom dei costi energetici. Il saldo nei primi nove mesi resta molto positivo: +37,4 miliardi di euro contro i +17,84 miliardi dello stesso periodo del 2023. Ma questo è il passato. La congiuntura internazionale è tutt’altro che solida e se dall’estero non comprano i nostri prodotti, la nostra crescita ne risentirà.
La legge di Bilancio per il 2025 ha reso definitivo il taglio dell’Irpef varato a partire da quest’anno e che si è tradotto nell’accorpamento dei primi due scaglioni di reddito. L’aliquota del 23% si continuerà a pagare fino a 28.000 euro lordi all’anno. Fino allo scorso anno era dovuta fino a 15.000 euro e dopodiché il contribuente doveva versare il 25%. Non sappiamo ancora se ci sarà l’abbassamento della pressione fiscale sui redditi più alti, a beneficio del famoso ceto medio.
Serve sostegno alla domanda
Il governo attende di conoscere i risultati del concordato preventivo biennale. Se le adesioni tra le partite Iva saranno elevate da far prevedere un gettito sufficiente per le coperture, il taglio dell’Irpef sarà esteso fino ai 50-60.000 euro.
Far pagare meno il ceto medio servirebbe alla lunga ad incoraggiare l’ingresso sul mercato del lavoro, così come anche l’aumento delle ore lavorate e della produzione. E ridurrebbe anche la propensione all’evasione fiscale, visto che oggi il 15% dei contribuenti alimenta quasi i due terzi dell’intero gettito Irpef. L’impatto nel breve sarebbe positivo sui consumi, perché è verosimile che i beneficiari almeno in parte spendano il maggiore reddito netto disponibile. Ciò potenzierebbe l’effetto positivo che avrà nei prossimi mesi il taglio dei tassi di interesse già avviato e che si tradurrà per centinaia di migliaia di famiglie nel pagamento di rate del mutuo più basse.
Taglio Irpef doveroso anche per terzo scaglione
Il taglio dell’Irpef dovrà riguardare prima o poi anche lo scaglione più alto, quello che parte già dai 50.000 euro insù. E’ incredibile come lo stato italiano giudichi ricco un contribuente che percepisce intorno ai 2.670 euro netti al mese per dodici mesi all’anno. Solo a titolo di confronto, sappiate che l’aliquota più alta (45%) in Francia scatta da quasi 170.000 euro. Quella precedente del 41% a partire da 78.541 euro. In Germania bisogna arrivare a quasi 275.000 euro per pagare il massimo del 45%. Il nostro ceto medio, che all’estero sarebbe considerato relativamente povero, è tale solamente quando è chiamato a pagare le tasse.
Lungamente rievocato da sempre, la valutazione delle categorie più’ abbienti e’ nel nostro intento l’interesse delle categorie di investitori e delle attivita’ di lavoratori dipendenti, nella misura Irpef adeguatamente suddivisa, per larga parte si evidenzia l’ attenersi al rispetto delle regole vigenti