La Repubblica del Cile ha emesso obbligazioni di stato in dollari per $750 milioni, in data 24 gennaio. Il titolo è stato prezzato alla pari e reca cedola 2,55%, in scadenza nel 27 gennaio 2032 (ISIN: US168863DN50), cioè tra 12 anni. E’ negoziabile alla Borsa del Lussemburgo per importi minimi di 200.000 dollari e aggiuntivi di 1.000 euro e multipli. A ben vedere, si tratterebbe di una buona opportunità di diversificazione del portafoglio d’investimenti. Anzitutto, il rating è elevato. S&P assegna al Cile un giudizio sovrano di “A+”, Moody’s “A1” e Fitch “A”.
L’emissione è avvenuta, quindi, a un costo di circa un’ottantina di punti base sopra il corrispondente Treasury. Poco, perché in effetti è basso il rischio di credito che si corre acquistando il bond. I “credit default swaps” per proteggere un investimento in titoli di stato cileni costano meno di 49 bp, implicando una probabilità di fallimento entro 5 anni dello 0,81%. Assicurarsi contro il rischio italiano costa circa 122 bp, pari al 2% di probabilità di evento creditizio avverso entro un quinquennio.
Questo, per capire che il Cile è uno stato relativamente sicuro, pur trovandosi in America Latina. Ma nei mesi scorsi, ne abbiamo sentito parlare per i disordini esplosi a seguito delle proteste anti-governative, che hanno lasciato sul terreno 27 morti, spingendo il governo del presidente Sebastian Pinera ad annunciare una riforma costituzionale per andare incontro alle richieste diffuse della popolazione. Il cambio ne ha risentito, con il peso ad essere scivolato ai minimi storici contro il dollaro e perdendo ancora oggi il 10% su base annua, pur rafforzandosi dai minimi toccati in autunno. Gli stessi rendimenti sovrani sono lievitati, ma rimanendo su livelli contenuti. Il decennale offre oggi il 3,35% contro il 2,70% precedente alle proteste, il titolo a 2 anni viaggia all’1,90% contro circa l’1,70%.
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Quali rischi
Ma il rischio di cambio contro i pesos per questa emissione è inesistente, essendo le obbligazioni denominate in dollari. Semmai, dobbiamo stare attenti a capire se vi siano altri pericoli, magari derivanti dalla scarsa sostenibilità per Santiago del Cile del debito contratto in valuta forte straniera. A tale proposito, ci vengono in soccorso i dati sulle riserve valutarie, salite a 40,6 miliardi di dollari a dicembre. Esse coprono 8 mesi di importazioni, più che sufficienti in teoria per schivare problemi di carenza di valuta straniera nel breve termine. L’aspetto più significativo risiede, poi, nel fatto che la bilancia commerciale cilena esiti generalmente saldi positivi, a circa il 3% del pil nel 2019. L’indebolimento del cambio dovrebbe favorire le esportazioni e sostenere il surplus.
Per contro, le partite correnti chiudono cronicamente in passivo, segno dei deflussi di capitali che più che compensano l’eccesso di esportazioni. Ad ogni modo, la flessibilità del cambio ha garantito sinora riserve appropriate. Se s’intende acquistare il bond per tenerlo fino alla scadenza, non dovrebbero esserci problemi di sorta. Un default del Cile è escluso, anche perché il debito pubblico giace sotto il 25%. L’unico vero pericolo per l’investimento sarebbe rappresentato dalla volatilità delle quotazioni, nel caso in cui si puntasse a rivenderlo in anticipo. I rischi politici si sono drasticamente impennati negli ultimi 3 mesi e inaspettatamente. Ciò implica la possibilità che i prezzi oscillino nei prossimi mesi o anni, qualora tra governo e piazza non si trovasse un punto stabile d’incontro per mantenere quell’ambita pace sociale che ha contribuito allo sviluppo economico e democratico del paese negli ultimi decenni.
Ad esempio, le cifre ufficiali parlano di perdite per l’economia di 3 miliardi di dollari per via degli scontri, qualcosa come l’1% del pil.
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