Cedola fissa o cedola variabile
Il primo tipo è preferibile per i casi di inflazione tendenzialmente calante. Infatti, poiché la cedola è fissa, il tasso offerto tende ad aumentare in termini reali, man mano che si abbassa la crescita dei prezzi. Ciò fa crescere il prezzo del titolo sul mercato secondario, dove avviene la quotazione, in quanto esso diventa più appetibile per il mercato. Viceversa, quando l’inflazione tende a crescere, è preferibile optare per un’obbligazione con cedola variabile, perché essa offre un rendimento minimo garantito, al di sotto del quale generalmente non si scende nemmeno per i casi (attuali) di deflazione, salvaguardando così il potere di acquisto dell’investitore.
Break-even rendimenti, cos’è
Facciamo un esempio: un bond a cedola fissa con scadenza 30 luglio 2021 rende oggi il 2%, mentre un bond a cedola variabile dello stesso emittente (quindi, stesso rating), emesso per la medesima scadenza, ma con cedola legata all’inflazione, rende l’1,2%. Ciò significa che il mercato si attende da qui al 2021, ovvero nei prossimi 5 anni, che l’inflazione media annua sia dello 0,8%. Infatti, sommata questa percentuale all’1,2% offerto dal secondo bond, si ha il 2%, ovvero il rendimento offerto dal bond con cedola fissa. La distanza tra i rendimenti dei bond con cedola fissa e quelli offerti dai bond con cedola variabile è detta anche “break-even” e gli investitori la monitorano con estrema attenzione.