Obbligazioni bancarie subordinate: tutto quello che c’è da sapere

I bond subordinati emessi dalle banche sono più rischiosi per loro natura delle obbligazioni tradizionali. Ma perchè le banche li emettono e gli investitori li acquistano?
8 anni fa
4 minuti di lettura

Sempre più spesso, le banche e le società finanziarie propongono agli investitori italiani di sottoscrivere o acquistare obbligazioni bancarie di un tipo molto particolare: i cosi detti bond subordinati. Esiste il rischio che questi titoli vengano presentati da venditori con pochi scrupoli come normali obbligazioni, dotate di una remunerazione superiore a quella usuale, senza che venga specificato in cosa tali titoli siano particolari e a cosa si debba l’insolita remunerazione. La caratteristica essenziale degli strumenti obbligazionari subordinati è che essi vengono considerati dalle banche che li emettono non come tradizionali titoli di debito, ma come una forma di capitale azionario, cosa che permette agli istituti di credito di aumentare i propri volumi di attività.

Infatti, le banche centrali esigono che si rispetti un preciso bilanciamento tra rischi assunti (prestiti, investimenti, etc.) e mezzi propri (azioni, più obbligazioni subordinate). Così, al crescere delle dimensioni della banca deve corrispondere necessariamente un aumento di capitale o l’emissione di titoli subordinati.

Obbligazioni subordinate o junior bond, come funzionano

I portatori delle obbligazioni subordinate (definite, in inglese, “bank capital” o “junior debt”) accettano di essere trattati peggio degli altri creditori (titolari di conti, depositi e altre obbligazioni), nel caso in cui l’istituto che le ha emesse si trovi in difficoltà. Il caso tipico è quello dell’insolvenza e di una eventuale liquidazione. In questo caso, il ricavato della liquidazione dei beni verrà utilizzato, in via prioritaria, per pagare i creditori ordinari. Una volta che questi ultimi (tra cui si collocano i proprietari delle normali obbligazioni, chiamate anche “senior”) avranno ricevuto il 100% di quanto a loro dovuto (e solo allora), si potrà dividere il residuo tra i portatori di subordinati (tra l’altro rimborsando alcune categorie prima di altre, con un sistema che possiamo definire “a strati”). Il rischio che si corre detenendo titoli “junior” è pertanto superiore alla norma e si può sicuramente affermare che, in caso di liquidazione dell’emittente (evento infausto per definizione), quanto incassato potrebbe essere anche pari a zero, mentre il proprietario di uno strumento “senior” potrebbe recuperare qualcosa.

Ma l’insolvenza vera e propria non è l’unico rischio che si corre investendo in bond subordinati emessi dalle banche, come si può meglio comprendere leggendo di seguito.

Il rischio delle obbligazioni subordinate

C’è da dire che, in cambio del rischio, l’investitore ottiene un’interessante remunerazione, molto superiore a quella normalmente ottenibile dallo stesso debitore in versione “ordinaria”. Per di più, la storia ci dice che i tassi di insolvenza su titoli di questo tipo emessi sull’euromercato (da istituzioni rispettabili) siano praticamente pari a zero. Tuttavia, è indubbio che il settore bancario sta diventando sempre più propenso al rischio e alla redditività, avvicinandosi progressivamente agli altri settori dell’economia. Nel passato (e non solo in Italia), gli sforzi erano principalmente rivolti a preservare la solidità dell’azienda bancaria, mentre negli ultimi dieci anni, in linea con il processo di liberalizzazione dell’economia, l’enfasi è stata data ai risultati reddituali e allo sviluppo dimensionale, qualche volta a scapito dell’affidabilità dell’istituzione. Solo dieci anni fa esistevano, a livello mondiale, molte banche che venivano valutate dalle agenzie di rating al top delle loro classificazioni (rating Aaa/AAA), mentre ad oggi il loro numero si è molto ridotto, trattandosi ormai unicamente di banche nelle quali gli stati di appartenenza sono direttamente coinvolti (banche degli stati tedeschi, banche pubbliche in Francia, banche multilaterali, come BEI e Banca Mondiale, etc).

I gradi di subordinazione delle obbligazioni bancarie

La famiglia dei subordinati è numerosa e si distingue per tipologie, grado di rischio e redditività (a rischio maggiore corrisponde una remunerazione maggiore). I nomi che vengono usati per definire i singoli strumenti sono di derivazione inglese e comuni a tutte le istituzioni creditizie europee e dei principali paesi occidentali: Tier 1, Upper Tier 2, Lower Tier 2 e Tier 3.

Obbligazioni Tier 1

Si tratta della tipologia più rischiosa, da assimilare ad un’azione di risparmio con dividendo/cedola definito a priori. Non ha scadenza (obbligazione perpetua), ma l’emittente ha la possibilità di rimborsare il titolo (opzione call) di solito al decimo anno (con l’assenso della Banca Centrale) e, se non lo fa, la cedola cresce, rendendo più onerosa questa via di finanziamento. La cedola è fissa o variabile fino alla call, mentre è sempre variabile successivamente. Qualora la banca non paghi dividendo agli azionisti, la cedola viene cancellata e persa. Qualora vengano realizzate perdite che mettono in pericolo la solidità della banca, il capitale nominale viene decurtato, pro-quota, di queste perdite. In caso di liquidazione, vengono privilegiati i portatori di Tier 2 (Lower e Upper) e Tier3.

Obbligazioni Upper Tier 2

Meno rischioso del Tier 1, ha una scadenza di 10 anni o superiore. In caso l’emittente chiuda l’esercizio in perdita, le cedole non vengono cancellate, ma solo sospese e pagate, tutte insieme, nel primo anno che si chiuda in utile. Di solito non è prevista alcuna remunerazione o capitalizzazione per le cedole eventualmente pagate in ritardo. Il nominale può essere diminuito, in casi straordinari e più limitati che nel caso del Tier 1.  In caso di liquidazione vengono privilegiati i portatori di Lower Tier 2 e Tier 3.

Obbligazioni Lower Tier 2

La scadenza è usualmente di 10 anni, ma l’emittente può (e deve) rimborsare alla pari al quinto anno. Se la banca non utilizza l’opzione di rimborso anticipato al quinto anno, non solo la cedola viene aumentata in modo consistente, ma l’emittente viene anche penalizzato dalla sua banca centrale. Le cedole, variabili o fisse, vengono sempre pagate alla data prefissata; sono bloccate solo in caso di una vera e propria insolvenza. Il capitale non subisce decurtazioni, se non in caso di liquidazione della banca.

Si tratta del meno complicato e rischioso dei subordinati, ma, proprio per questo, molto soggetto ad essere venduto come una normale obbligazione “senior” da parte di “venditori” non trasparenti. In caso di liquidazione dell’emittente, questo strumento viene preferito ai Tier 1 e Upper Tier 2, trovandosi allo stesso livello dei Tier 3. Il rendimento di mercato per nuove emissioni è pari al tasso IRS/Euribor a 10 anni maggiorato di un margine compreso tra 0,40 e 1,10%, in dipendenza della qualità dell’emittente.

Obbligazioni Tier 3

E’ una tipologia molto recente ed ancora relativamente poco sperimentata. Invece di servire agli istituti di credito per accrescere il proprio volume di attività genericamente inteso, va ad aumentare unicamente la capacità operativa nell’area del trading sui mercati finanziari. Di solito, la sua emissione viene raccomandata dalla banca centrale agli operatori particolarmente attivi nel mercato dei capitali. La scadenza è breve (2-4 anni), la remunerazione di solito in linea con il Lower Tier 2 (che però ha sempre una scadenza superiore). Il pagamento del capitale e delle cedole può essere sospeso (non cancellato), su disposizione della banca centrale, in caso di indebolimento eccessivo della solidità dell’istituto.In caso di liquidazione dell’emittente, viene preferito ai Tier 1 e Upper Tier 2, trovandosi allo stesso livello dei Lower Tier 2.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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