Argentina sotto stress dopo la pesante sconfitta del presidente Mauricio Macri alle elezioni primarie di domenica. Il cambio tra peso e dollaro è crollato del 17% in un’unica seduta, mentre la Borsa di Buenos Aires ha accusato un tonfo del 38%. Anche le obbligazioni emesse dall’Argentina hanno subito un duro colpo, con i rendimenti impennatisi anche per i titoli denominati in valute come dollaro ed euro. Il rischio default per l’economia sudamericana è percepito anch’esso molto più alto, al 72% entro i prossimi 5 anni per i “cds”.
Uno di questi è la Banca europea per gli investimenti (BEI), che gode chiaramente del rating “AAA” da parte delle agenzie di valutazione. Il bond da essa emesso nel 2018 e con scadenza 30 gennaio 2020 (ISIN: XS1759469932) presenta una durata residua di appena 5 mesi e mezzo e cedola del 15%. Ieri, quotava a 87, per cui offriva un rendimento annualizzato di quasi il 50%. Mica male per nemmeno un semestre.
Obbligazioni BEI e Cassa depositi e prestiti, le imposte di successione non si pagano
Qui, il rischio di credito risulta sostanzialmente nullo, non quello di cambio. I pesos argentini hanno perso circa il 64% del loro valore dall’inizio dello scorso anno, ben oltre l’80% dall’insediamento di Macri alla presidenza. La vera domanda, nel caso di acquisto del suddetto bond sarebbe la seguente: esiste un “floor” di riferimento per il cambio tra peso e dollaro? In teoria, sì e sarebbe stato superato proprio lunedì. L’accordo tra Buenos Aires e Fondo Monetario Internazionale sull’ottenimento di aiuti per 57 miliardi di dollari prevede, infatti, che il governo lasci fluttuare liberamente il cambio entro una larga banda di oscillazione, che ha come limite superiore (inferiore per il peso) un massimo di 51,45 contro il dollaro.
Rischio di cambio altissimo
Se la banca centrale terrà fede all’impegno, già dovrebbe scendere in campo per evitare l’eccessivo deprezzamento. In questo caso, le obbligazioni BEI si mostrerebbero allettanti, dato che non sarebbe teoricamente più possibile alcun indebolimento ulteriore del cambio. Tuttavia, due cose: anzitutto, non è detto che la difesa della banca centrale abbia successo. La storia dell’attacco speculativo contro la lira italiane nel 1992 ci insegna che nemmeno un grande istituto spesso possa essere in grado di andare contro i fondamentali; secondariamente, quell’accordo si regge su un patto politico tra governo e FMI, destinato ad essere cestinato dalla sempre più probabile presidenza del peronista Alberto Fernandez, candidato con il vento in poppa alle elezioni di ottobre.
E Fernandez ha chiarito, in campagna elettorale, che i tassi andrebbero abbassati e il cambio lasciato indebolire ulteriormente, in quanto ancora sarebbe sopravvalutato contro il dollaro. In altre parole, una sua vittoria porterebbe quasi certamente a tensioni finanziarie ai danni dei pesos, con implicazioni assai negative per gli obbligazionisti BEI, che rischiano di ritrovarsi rimborsati alla fine di gennaio prossimo un capitale falcidiato dalla svalutazione. Un cambio in area 64-65 già azzererebbe i guadagni di un eventuale investimento oggi. E non parliamo di uno scenario così repentino.
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