Il mercato delle obbligazioni somiglia sempre più a quello azionario. I due comparti sui mercati finanziari si sono sempre caratterizzati per scopi diversi. Chi investe in azioni lo fa generalmente con finalità speculative, cioè per rivendere a prezzi superiori di quelli di acquisto. I dividendi distribuiti incidono poco sul reddito totale mediamente percepito. Per le obbligazioni, il discorso cambia. Chi vi investe punta a un reddito fisso, cioè allo stacco periodico delle cedole, mentre il disinvestimento anticipato contribuisce poco ai guadagni complessivi.
Negli ultimi tempi, si sta verificando un’inversione di comportamento degli investitori tra i due comparti. Le banche centrali hanno iniettato liquidità a fiumi sui mercati, sostenendo così i corsi di azioni e obbligazioni, ma gli acquisti diretti di queste ultime ne hanno provocato un crollo dei rendimenti a livelli inimmaginabili fino a pochi mesi fa, con una massa fino ai 17.000 miliardi di dollari nel mondo in territorio negativo, riflesso dell’esplosione della domanda e dei prezzi.
Di conseguenza, i bond hanno mostrato una capacità mai vista in passato di produrre valore grazie alla loro rivendita anticipata per il realizzo delle plusvalenze, mentre le cedole hanno inciso in misura marginale ai guadagni complessivi. Di recente, con un articolo vi abbiamo dimostrato come i BTp abbiano fruttato tutti a doppia cifra in pochi mesi, ma le loro cedole hanno contribuito per una quota poco significativa, anche solo di qualche punto percentuale. Viceversa, per quanto alte siano le quotazioni azionarie su alcuni mercati, come a Wall Street, il dividendo distribuito tende a incidere per percentuali più interessanti sul totale.
BTp a lunga scadenza, il peso delle cedole nei guadagni
Obbligazionisti senza paracadute con la crisi
Per non parlare del fatto, poi, che negli ultimi anni l’entità delle cedole sia di gran lunga stata tagliata da stati, banche e società private, garantendo un reddito fisso impalpabile agli investitori, allungando la “duration” dei titoli ed esponendoli a una maggiore volatilità.
Negli ultimi mesi, cioè da settembre in poi, per varie ragioni si è tornati a una correlazione inversa tra i due comparti, con le azioni a crescere e le obbligazioni a ripiegare, sia per il maggiore appetito per il rischio, sia per le valutazioni eccessive a cui erano arrivate le seconde. Siamo lontanissimi, però, da una normalizzazione sui mercati, se è vero che ancora quasi 12.000 miliardi di dollari di titoli mostrano nel mondo rendimenti negativi, oltre un quinto del totale. E ciò non è un bene. Quando le azioni inizieranno ad arretrare con un’eventuale crisi delle principali economie mondiali, le obbligazioni non saranno più capaci di compensarne le perdite nei portafogli d’investimento, essendo a loro volta sin troppo apprezzate.
Portafoglio 60/40 non funziona più
Mentre sinora il mercato si riparava nei bond per ottenere un minimo reddito nelle fasi avverse, nel prossimo futuro non sarebbe più così. L’investitore rischia di trovarsi senza paracadute, esposto più che mai alla congiuntura, almeno fino a quando le valutazioni degli uni e degli altri titoli non renderanno le rispettive cedole nuovamente allettanti. Fino ad allora, la funziona tipica del comparto obbligazionario sarà venuta meno e gli obbligazionisti, un tempo i più garantiti dalle tensioni finanziarie, resteranno esposti alla volatilità come fossero azionisti, senza più la prospettiva rassicurante delle scadenze per conservare il capitale, avendo perlopiù comprato di gran lunga sopra la pari o a rendimenti già negativi.