Se siete alla ricerca di obbligazioni emergenti di qualità non infima e con rendimenti accettabili per una fase come questa, il Sud America può essere il posto giusto per voi. E’ un’area un po’ turbolenta in questi mesi. Lo abbiamo visto con le recentissime elezioni presidenziali in Ecuador e Perù. Se a Quito la contesa si è risolta a favore del candidato conservatore, a Lima è dato in forte vantaggio l’esponente marxista. C’è il rischio che il mercato vada in subbuglio nel caso di una sua vittoria.
Ma se ci spostiamo un po’ più a nord, il panorama finanziario ci offre qualche altra soluzione di tutto rispetto. Le obbligazioni emergenti del Panama appaiono un buono compromesso tra rendimento e rischio. Si tratta di un mercato sovrano “investment grade”. I rating delle agenzie sono BBB (S&P), BBB- (Fitch) e Baa2 (Moody’s). L’economia panamense può considerarsi emergente a medio-alto reddito. Il PIL pro-capite si aggirava sopra i 15.000 dollari prima del Covid, praticamente circa quanto in Cile.
Abbiamo alcune emissioni di obbligazioni emergenti panamensi interessanti. C’è il bond con durata residua ultra-trentennale e scadenza 29 aprile 2053, cedola 4,3% (ISIN: US698299BB98). E’ denominato in dollari, semplicemente perché nei fatti la valuta del Panama è il dollaro. Formalmente, sarebbe il balboa, ma il governo ha imposto un tasso di conversione fisso di 1:1 contro la divisa americana. Ebbene, questo bond offre un rendimento del 3,86%. Perde circa il 21% da agosto, ma resta nettamente sopra la pari, a una quotazione sopra 106. Rispetto al Treasury a 30 anni, offre oltre 160 punti base in più.
Obbligazioni emergenti, i veri rischi nascosti
Se volessimo attenerci a scadenze molto più corte, abbiamo il titolo 1 aprile 2029 e cedola 9,375% (ISIN: US698299Ak07). A una quotazione in area 147, perde circa l’8% da agosto e offre oggi un rendimento del 2,34%. A fronte di un rischio sovrano medio-basso, tutte queste obbligazioni emergenti ci mettono dinnanzi a un rischio di cambio da non sottovalutare.
Ciò non toglie che dobbiamo fare ugualmente attenzione. Il Panama ha una bilancia commerciale cronicamente passiva, così come le partite correnti. Queste ultime negli ultimi mesi del 2020 hanno iniziato ad accennare un timido saldo positivo, ma insufficiente a delineare una svolta. Le riserve valutarie risultano pari a 4-5 mesi di importazioni, relativamente basse. Cosa vogliamo dire? La scarsa competitività dell’economia panamense, provocata anche dall’ancoraggio al dollaro, rischia di prosciugare in futuro le riserve, minacciando i pagamenti dei debiti in dollari.
Le obbligazioni emergenti panamensi, quindi, presentano un rischio sovrano non così basso come si crede guardando ai soli dati macro. Lo spettro di un futuro de-pegging resta concreto, per quanto ad oggi non molto probabile. Si tratterebbe di una maxi-svalutazione, che renderebbe insostenibile il peso dei debiti esteri, richiedendone la rinegoziazione. Ergo: Panama sì, ma “cum grano salis”.