Il colosso petrolifero americano Exxon Mobil ha emesso venerdì scorso obbligazioni senior non garantite per un controvalore complessivo di 1,75 miliardi di dollari. Nel dettaglio, ha collocato sul mercato un bond a 7 anni con cedola fissa del 2,275% e scadenza nell’agosto 2026 (ISIN: US30231GBD34) per 1 miliardo di dollari e un altro bond a 3 anni con cedola variabile pari al Libor a 3 mesi + 0,33% e scadenza agosto 2022 (ISIN: US30231GBA94) per 750 milioni. Entrambi sono stati emessi alla pari e da ieri risultano quotati al NYSE e negoziabili “Over The Counter”.
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La cedola variabile viene erogata ogni 3 mesi, quella fissa ogni 6 mesi. La vera differenza tra i due titoli, però, sta tutta nel tipo di tasso e nella durata dell’investimento. Alle attuali condizioni, le obbligazioni triennali offrono un rendimento annuo del 2,48%, superiore al 2,275% del bond con cedola fissa. Tuttavia, nel primo caso si tratta di una scommessa sulla tenuta del Libor lungo il triennio. E il rischio di ritrovarsi una cedola striminzita da qui a pochi mesi appare elevato, se si considera che con l’allentamento monetario appena iniziato della Federal Reserve, il tasso a 3 mesi sul mercato americano è crollato già quest’anno di circa lo 0,65%.
Pertanto, chi credesse a ulteriori tagli dei tassi USA e conseguentemente alla discesa dei tassi di mercato in dollari dovrebbe puntare più sul secondo bond, che garantisce un rendimento certo e relativamente elevato, considerati sia il rating che la durata dell’investimento. Ciò è dovuto al disallineamento della politica monetaria americana rispetto a quella europea, effetto dei diversi cicli economici. Tuttavia, a fronte di rendimenti iniziali più alti, il dollaro rischia di indebolirsi contro l’euro nei prossimi mesi e anni, infliggendo perdite a chi comprasse queste obbligazioni.
Rischio di cambio e non solo
Stando allo spread Treasury-Bund, da qui ai prossimi 3 anni il cambio euro-dollaro si rafforzerebbe di oltre il 7%, mentre entro 7 anni di quasi il 17%. Tenendo conto del rischio di cambio, quindi, sarebbe come se il rendimento triennale, in sé nemmeno noto con certezza in anticipo, si riducesse del 2,4% all’anno e quello del bond a 7 anni pure. In questo secondo caso, sarebbe come preventivare già rendimenti effettivi negativi. Del resto, rendono sottozero in Europa anche molte obbligazioni corporate per scadenze non lunghe e con rating medio-alti. Tutto tornerebbe, in sostanza.
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D’altro canto, al netto delle considerazioni sul cambio, il bond a 3 anni ci consentirebbe di restare ancorati all’investimento per un periodo minore, approfittando alla scadenza di un’eventuale risalita dei tassi di mercato, vuoi nell’Eurozona e/o negli stessi USA. Viceversa, se i tassi da qui ai prossimi 3 anni risultassero ancora più bassi, ci troveremmo dinnanzi a un cosiddetto rischio di reinvestimento, cioè saremmo costretti, se volessimo restare sul comparto obbligazionario, ad acquistare obbligazioni con rendimenti inferiori a quelli sino ad allora goduti.
E se il Libor tornasse a salire? L’eventualità sarebbe legata a una politica della Fed sui tassi meno espansiva di quanto sin qui scontato, magari a seguito di un’accelerazione dell’inflazione e/o della crescita del pil negli USA. Tuttavia, tenendo conto che l’anno prossimo si svolgono le elezioni presidenziali, nel corso delle quali difficilmente l’istituto vara manovre restrittive, e che la durata del bond sia breve per ipotizzare entro la scadenza un cambio di rotta con tanto di aumento dei tassi o di mantenimento ai livelli vigenti, difficile che questo scenario si realizzi.