Sono disponibili da ieri per le negoziazioni sul Mercato obbligazionario Telematico e su EuroTlx di Borsa Italiane le nuove obbligazioni di Intesa Sanpaolo in dollari Usa, austrialiani (“aussie”) e neozelandesi (“kiwi”). Sono cinque in tutto, di cui tre nella divisa statunitense. Un’opportunità di investimento dedicata al mercato retail italiano, cioè ai piccoli risparmiatori. Lo conferma anche il taglio minimo modesto fissato per tutte le cinque tranche. Vediamo nei dettagli le condizioni offerte.
Obbligazioni Intesa Sanpaolo in dollari Usa
Le obbligazioni Intesa Sanpaolo denominate in dollari Usa, come dicevamo, sono tre.
- 7,20% per i primi due anni
- 6,20% per il terzo e quarto anno
- 5,20% per il quinto e sesto anno
- 4,20% per il settimo e ottavo anno
- 3,20% per il nono e decimo anno.
Il tasso medio annuo corrisposto fino alla scadenza risulta essere, quindi, del 5,20%. Al netto della ritenuta fiscale del 26%, scenderebbe al 3,85%. Ma occhio al rischio di cambio, perché se il dollaro dovesse deprezzarsi contro l’euro, il valore sia delle cedole che del capitale diminuirebbero per un investitore italiano. E la prospettiva di un indebolimento del biglietto verde esiste, essendo da tempo molto forte contro le principali valute mondiali.
Cedola decrescente
L’altra tranche delle obbligazioni Intesa Sanpaolo in dollari Usa è della durata di sette anni e ha scadenza in data 13 marzo 2031 (ISIN: XS2782311273). Taglio minimo sempre di 2.000 dollari. Anche in questo caso, offre cedole decrescenti e corrisposte con cadenza trimestrale secondo i seguenti tassi annui:
- 6,70% per il primo anno
- 5,70% per secondo e terzo anno
- 4,70% per quarto e quinto anno
- 3,70% per sesto e settimo anno
Qui, il tasso medio lordo annuo sfiora il 5% e scende sotto il 3,70% con la trattenuta fiscale.
Cedola fissa
Infine, tranche in dollari Usa a tasso fisso del 4,90% e della durata di due anni con scadenza in data 13 marzo 2026 (ISIN: XS2782311943). La corresponsione delle cedole resta trimestrale e lo stesso taglio minimo è fissato sempre in 2.000 dollari. Il tasso annuo netto scende al 3,63%, praticamente molto simile a quello riconosciuto dalle obbligazioni Intesa Sanpaolo a sette anni con cedola decrescente.
Tranche in dollari kiwi
E abbiamo anche la tranche in dollari “kiwi”, cioè della Nuova Zelanda: durata di due anni con scadenza in data 13 marzo 2026 (ISIN: XS2782310200). Cedola fissa lorda del 5,10% corrisposta ogni tre mesi e taglio minimo di 2.000 dollari, pari a quasi 1.130 euro al cambio attuale. L’evoluzione del cambio giustificherebbe o renderebbe non proficuo l’investimento, a seconda della direzione. Il paese al quarto trimestre del 2023 aveva ancora un’inflazione relativamente alta (4,7%), anche se i tassi di interesse al 5,5% sembrano avere toccato il picco.
Se la Banca Centrale Europea e la Federal Reserve tagliassero i tassi prima che lo faccia Wellington, il dollaro “kiwi” ne uscirebbe probabilmente rafforzato. Viceversa, potrebbe accusare almeno temporaneamente il colpo. Dai minimi dell’agosto scorso, guadagna il 4% contro la moneta unica.
Tranche in dollari aussie
E chiudiamo con l’emissione delle obbligazioni Intesa Sanpaolo in dollari australiani. Durata anche questa volta di due anni e scadenza in data 13 marzo 2024 con cedola fissa del 4,40% corrisposta ogni tre mesi (ISIN: XS2782309376). Taglio minimo di 2.000 dollari, pari a 1.212 euro. Analoghe le considerazioni sopra effettuate per la Nuova Zelanda. L’“aussie dollar” si è apprezzato contro l’euro del 3,6% da agosto, ma ancora non presenta condizioni ottimali per poter avviare il taglio dei tassi, data l’inflazione relativamente elevata a fine 2023.
Obbligazioni Intesa Sanpaolo opportunità con rischi da calcolare
In conclusione, le obbligazioni Intesa Sanpaolo appaiono un buon investimento per diversificare il portafoglio dei bond. Le valute di emissione sono tutte storicamente forti, ma ciò non toglie che il rischio di cambio possa azzerare e finanche portare in territorio negativo il rendimento effettivo per un investitore italiano. C’è sempre la possibilità di rivendere prima della scadenza, ma in quel caso ci si esporrebbe al rischio di quotazione e a quello di liquidità. Non è scontato, infatti, che si formi un adeguato mercato secondario per gli scambi, visti gli importi contenuti di ciascuna tranche.