Non sarà effettuato alcun pagamento delle cedole sul bond in scadenza nel febbraio 2023 e tasso annuale del 7,75% (ISIN: XS1361301457) emesso da Onorato Armatori. La società dei traghetti Moby ha sottoscritto un accordo in tal senso con un gruppo di obbligazionisti (Ad Hoc Group). Lo Standstill Agreement ha validità fino al 29 febbraio e consentirà alla società di guadagnare tempo, essendosi i creditori impegnati a non intraprendere nei suoi confronti alcuna iniziativa legale per ottenere il rimborso del debito con azioni esecutive.
In settimana, avrebbero dovuto essere pagate le cedole semestrali sul bond per un esborso complessivo di circa 11 milioni di euro. Salterà anche una scadenza da 50 milioni verso un gruppo di banche capeggiato da Unicredit e il quale vanta crediti residui per 160 milioni. Al momento, il titolo obbligazionario sul mercato secondario scambia a circa 29,50 centesimi, offrendo così un rendimento in area 105%, chiaramente risentendo delle elevatissime probabilità di default. La società emittente ha rating Moody’s “Ca”, il bond “Caa2”. Trattasi, quindi, di un investimento altamente speculativo.
Moby: pronto piano di rilancio, ma bond sempre in difficoltà
I guai finanziari di Moby
L’emissione risale al 2016, quando ad acquistare le obbligazioni furono sostanzialmente alcuni fondi, tra cui Soundpoint Capital, Cheyenne Capital e York Capital, i quali si sono rivolti al Tribunale di Milano nello scorso autunno, presentando istanza di fallimento. Essa è stata rigettata dal giudice, il quale ha acceso, però, i fari sulle condizioni finanziarie critiche della società. Nel 2018, a fronti di ricavi sostanzialmente stabili a 584,3 milioni, Moby chiudeva il bilancio con perdite per 62,6 milioni, a causa della lievitazione dei costi di materie prime e personale. Il Gruppo Onorato, di cui fanno parte anche Tirrenia (rilevata dallo stato negli anni scorsi) e Toremar, risulta gravato di debiti lordi per 712 milioni.
Dai prezzi infimi a cui si è schiantato il bond da 300 milioni, si deduce che il mercato starebbe scontando nei fatti un “haircut”, non solo e tanto un rinvio dei pagamenti. E dire che dopo la vittoria legale di ottobre, l’armatore Vincenzo Onorato aveva accusato i fondi di perseguire una strategia di discredito ai danni della sua famiglia, annunciando azioni legali a tutela del gruppo controllato e rivendicando di dare lavoro a oltre 5.000 marittimi italiani, anziché sfruttare la manodopera a basso costo straniera come alcuni suoi concorrenti, parlando di recente anche di “lobby di parte degli armatori”, che starebbe distruggendo la tradizione marittima italiana.
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