Poste Italiane ha iniziato ieri il “roadshow” per presentare la sua offerta di obbligazioni perpetue e “callable” dopo 8 anni. Ne ha dato notizia il servizio Refinitiv, secondo cui l’operazione in corso è curata, in base alle condizioni del mercato, da BNP Paribas, Deutsche Bank, Goldman Sachs, IMI-Intesa Sanpaolo, JP Morgan e Unicredit.
Obbligazioni perpetue significa che il nuovo bond di Poste sarà senza scadenza. Tuttavia, l’emittente si riserva la facoltà di richiamarlo (rimborsarlo) a distanza di 8 anni dalla data di emissione.
In genere, le obbligazioni perpetue tendono ad essere rimborsate in una fase di tassi calanti. Se l’emittente va incontro a costi di emissione decisamente inferiori a quelli spuntati per l’emissione di questi titoli, anziché continuare a pagare cedole alte agli obbligazionisti, riterrà opportuno emettere nuovo debito e impiegare il capitale raccolto per rimborsare quello più costoso. Questo espone l’investitore al rischio di reinvestimento. In sostanza, se i tassi di mercato scendono, egli può ritrovarsi con un capitale rimborsato e che difficilmente potrà investire in un asset altrettanto redditizio.
Altro rischio riguarda l’elevata volatilità delle quotazioni delle obbligazioni perpetue sul mercato secondario. Essendo titoli formalmente di durata infinita, risentono più di altri delle variazioni dei rendimenti. Ad ogni modo, sarà interessante verificare il rendimento che Poste riuscirà a spuntare con questa emissione. I suoi azionisti di maggioranza sono Cassa depositi e prestiti e Tesoro. Insieme, posseggono oltre il 64% del capitale.
Ne consegue che i suoi costi di emissione siano molto simili a quelli dei BTp. Indirettamente, il rendimento di queste obbligazioni perpetue ci segnalerà quanto pagherebbe il Tesoro per emettere debito senza scadenza. A dicembre, Poste emise due tranche da 500 milioni di euro ciascuna e con scadenza rispettivamente il 10 dicembre 2024 e il 10 dicembre 2028. Oggi, l’una offre rendimento zero e l’altra dello 0,57%. Sulle due scadenze, i BTp rendono -0,15% nel primo caso e 0,41% nel secondo, cioè una quindicina di punti base circa in meno. Per l’emissione in corso, il confronto andrebbe operato con il BTp 2072, il titolo di stato italiano più longevo e che oggi rende il 2,17%.