E’ stato un successo l’emissione di obbligazioni Petrobras di ieri. Il colosso petrolifero brasiliano ha collocato sul mercato debito in dollari per 3,25 miliardi, ricevendo ordini per 5 volte superiori, avendo sfiorato i 16 miliardi. Nel dettaglio, è stato emesso un bond suddiviso in due tranche, di cui una in scadenza nel 2031 per 1,5 miliardi e l’altra nel 2050 per 1,75 miliardi. Ad essersi occupati dell’operazione in qualità di bookrunners sono stati BNP Paribas, Bank of America, Itaù, JP Morgan, Scotiabank e SMBC. La data di regolamento è stata fissata per il 3 giugno.
Obbligazioni Petrobras in dollari: cedole sostanziose, ma quali rischi?
La prima tranche con cedola 5,60% ha esitato un prezzo di 99,993 centesimi, pari a un rendimento annuale alla scadenza del 5,60%. In fase di “guidance”, la compagnia aveva fissato un rendimento indicativo al 6%, successivamente abbassato al 5,65% e con un margine di +/- 5 punti base. La seconda tranche con cedola 6,75% ha esitato un prezzo di 98,110 centesimi, pari a un rendimento annuale alla scadenza del 6,9%, sotto il 7,30% inizialmente indicato e che successivamente era stato abbassato al 6,95% con un margine di +/- 5 punti base.
Le obbligazioni hanno ricevuto il rating “BB-” da S&P e Fitch, quest’ultima con outlook negativo. Si tratta, quindi, di titoli “non investment grade”, nel gergo giornalistico dette anche “junk” o “spazzatura”. In effetti, i rendimenti relativamente invitanti devono fare i conti con un rischio di credito non indifferente. A fine anno, a causa del tracollo delle quotazioni petrolifere internazionali, il rapporto tra debito ed EBITDA dovrebbe salire a 6, sebbene si preveda un abbassamento a 4 per il 2021.
Rischio di credito realmente elevato?
La società ha chiuso il 2019 con 76,6 miliardi di dollari di ricavi e un utile netto di 10,15 miliardi, mentre il suo indebitamento a lungo termine al 31 marzo scorso risultava di 77,84 miliardi, a fronte di cash disponibile per 16,11 miliardi. A inizio marzo, Petrobras aveva stimato il suo fabbisogno di liquidità mensile fino a un massimo di 1 miliardo, sebbene da allora abbia tagliato di 3,5 miliardi il programma di investimenti e di 2 miliardi i costi operativi.
La compagnia è stata negli anni scorsi al centro della mega-tangentopoli brasiliana, che ha provocato un forte terremoto politico, portando all’impeachment della presidente Dilma Rousseff e alla vittoria due anni e mezzo più tardi di Jair Bolsonaro, leader della destra anti-sistema. In aprile, risulta avere tagliato la produzione di petrolio a una media di 2 milioni di barili al giorno.
Tornando alle obbligazioni appena emesse, i rendimenti appaiono molto allettanti, anche perché se da un lato è pur vero che presentino un rischio di credito da non sottovalutare, dall’altro bisogna considerare che trattasi di una società controllata dallo stato e che, quindi, difficilmente verrebbe lasciata fallire dal governo in caso di difficoltà finanziarie. Un po’ lo stesso discorso che facciamo con la messicana Pemex, che pur essendo la compagnia più indebitata al mondo attraverso bond, risulta a tratti appetibile per via del sostegno di cui gode da parte del governo centrale. Certo, va detto per contro che anche lo stesso stato brasiliano si trova in affanno sul debito pubblico, che a fine anno dovrebbe tendere al 90% del pil e il cui rating risulta anch’esso tagliato a “junk”.
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