A proposito di strumenti finanziari con prospettive di crescita nel breve e medio periodo, ecco a voi queste obbligazioni petrolifere. La compagnia statale della Malaysia, Petronas, in questi giorni ha raccolto 3 miliardi di dollari sui mercati internazionali con l’emissione di un bond in due tranche. Inizialmente, puntava a rastrellare appena 1,2 miliardi, ma dopo avere assistito a ordini per 7,4 miliardi, ha alzato l’offerta. E lo ha fatto con 1,25 miliardi a 10,75 anni e 1,75 miliardi a 40 anni. Per questa seconda tranche, ha spiegato la compagnia nel comunicato, si è trattato dell’importo maggiore su una simile scadenza nel Sud-est asiatico.
In dettaglio, le obbligazioni petrolifere a 10,75 anni hanno offerto una cedola del 2,48%, a premio di 92,5 punti base rispetto al Treasury a 10 anni. La tranche a 40 anni, invece, ha offerto una cedola del 3,404%, a premio di 115 punti base sopra il Treasury a 30 anni.
La compagnia ha sofferto, com’è ovvio, il crollo delle quotazioni del greggio sul mercato. Ha chiuso l’esercizio 2020 con una perdita di 21 miliardi di ringgit, circa 4,2 miliardi di euro. Tuttavia, le agenzie di rating le assegnano giudizi medio-alti. Sulle emissioni in valuta straniera sono A- per S&P, BBB+ per Fitch e A2 per Moody’s. Dunque, parliamo di un emittente dal rischio di credito basso. Acquistando queste obbligazioni petrolifere in dollari, però, ci esporremmo a un rischio di cambio per il caso in cui l’euro dovesse rafforzarsi contro la divisa americana.
Petronas aveva già un bond a 40 anni quotato sul mercato secondario. Scade il 21 aprile 2060 e reca cedola del 4,8% (ISIN: USY68856AW66). Ieri, la sua quotazione si aggirava sotto 128, esibendo un -16% rispetto all’apice toccato in agosto. Allora, il rendimento era del 2%, mentre adesso risulta salito al 3,20%. Queste obbligazioni petrolifere hanno accusato il colpo per via della risalita drastica dei rendimenti americani. Per contro, offrono prospettive interessanti con la ripresa economica in corso.
Già da inizio anno il prezzo del Brent è cresciuto del 30% al barile, tornando ai livelli pre-Covid. Difficile che risalgano stabilmente oltre 70 dollari nel breve termine, ma il peggio è senz’altro alle spalle, a meno di un eventuale impatto negativo delle varianti Covid sull’efficacia delle campagne vaccinali. Anche solo sostando ai livelli attuali, le obbligazioni petrolifere non potranno che beneficiare di conti aziendali in via di normalizzazione con il ritorno all’utile. Il rischio di credito si abbasserebbe e con esso il rendimento preteso dal mercato.