Il Bahrein è tornato nei giorni scorsi a rifinanziarsi sui mercati finanziari internazionali per la seconda volta quest’anno. Lo ha fatto con un’emissione per complessivi 2 miliardi di dollari, di cui la metà tramite sukuk con cedola al 3,95% e l’altra metà con obbligazioni in dollari a 12 anni e con cedola 5,45%. Gli ordini in totale hanno ammontato a 7,6 miliardi, segno che l’appetito per il debito del regno resti elevato, malgrado il recente innalzamento del suo tetto a 15 miliardi di dinari dai precedenti 13 miliardi, pari a circa 40 miliardi di dollari.
Il costo dell’emissione è stato, tutto sommato, contenuto. I rating sovrani sono effettivamente bassi: B+ per S&P, BB- per Fitch e B2 per Moody’s. Si tratta di uno dei soli due paesi del Golfo Persico con giudizio sovrano “non investment grade”, cioè con debito pubblico ritenuto “spazzatura”, a medio-alto rischio default. Al 30 giugno scorso, il rapporto debito/pil si attestava al 115%.
Gli sceicchi del Golfo tornano sui mercati dei bond, emissioni per tamponare i deficit
Già negli anni scorsi, il Bahrein ottenne un maxi-prestito da 10,25 miliardi dagli stati alleati dell’area. Al momento, avrebbe bisogno di quotazioni petrolifere sopra i 90 dollari al barile per centrare il pareggio di bilancio, più del doppio del livello a cui si trovano attualmente. Il Fondo Monetario Internazionale stima, infatti, che il deficit pubblico dovrebbe salire quest’anno al 15,7%.
Date le precarie condizioni fiscali, quindi, il 5,45% per una scadenza a 12 anni va considerato un tasso basso per indebitarsi. Il regno avrebbe voluto emettere direttamente un trentennale, ma non ha trovato sufficiente domanda e interesse per questo tratto della curva, almeno non a costi accettabili e sostenibili. Per sua fortuna, però, gode del sostegno dell’Arabia Saudita, la grande potenza geopolitica, petrolifera ed economico-finanziaria del mondo arabo.
I rischi del bond
Ed ecco, quindi, che il rendimento offerto dal bond 2032 si situa a metà strada proprio tra quello saudita e quello egiziano di pari durata attualmente in vigore sul mercato secondario.
Chi acquistasse sul secondario il bond del Bahrein si esporrebbe a un doppio rischio: il primo è di credito, anche se i cds si acquistano a soli 255 punti base, prova che il mercato confidi sul sostegno saudita per il caso di crisi; il secondo è di cambio, essendo le obbligazioni denominate in dollari USA, valuta attesa deprezzarsi contro l’euro nei prossimi anni.
Ad ogni modo, tenendo conto che sul tratto a 12 anni un BTp offrirebbe oggi circa l’1,10%, cioè 5 volte meno, il secondo rischio dovrebbe essere coperto dagli alti spread, mentre il primo riguarda essenzialmente la capacità del regno di risanare le sue finanze e di riformarsi, allentando la dipendenza dal petrolio. Non è detto, infatti, che Riad sosterrebbe incondizionatamente Manama, pretendendo verosimilmente, prima di sborsare eventuali nuovi aiuti, che i creditori sopportassero parte delle perdite, magari attraverso un processo di rinegoziazione del debito. Occhio a non farsi attrarre dalla sola cedola!
Bahrein a caccia di dollari con un nuovo bond per arginare la crisi del petrolio