L’avventura ultra-ventennale di Wirecard sta per giungere al termine. La società tedesca dei pagamenti elettronici ha presentato istanza di fallimento dopo che non è riuscita ad ottenere la conferma del credito revolving da 1,75 miliardi dalle banche creditrici, tra cui Deutsche Bank e ABN Amro. Crollate le azioni e le obbligazioni, con le prime ad avere perso circa il 98% in poco più di una settimana e le seconde a segnare -80%, crollando a una quotazione di appena 17 centesimi. Parliamo del bond in scadenza nel settembre 2024 e cedola 0,50% (ISIN: DE000A2YNQ58).
Le obbligazioni Wirecard ora sono esplose a un rendimento sopra il 60%
Alle attuali quotazioni, Wirecard offrirebbe un rendimento in area 100%. Fin troppo allettante per essere bello. In effetti, stiamo parlando di una società sull’orlo del fallimento ufficiale. Il discredito che l’ha travolta non renderebbe più possibile la prosecuzione delle attività aziendali. Scorsa settimana, infatti, Ernst & Young si è rifiutata di certificare il bilancio, sostenendo di non avere avuto modo di verificare l’esistenza degli 1,9 miliardi di accantonamenti depositati in due banche filippine, che adesso si scoprono essere verosimilmente stati in esistenti sin dall’inizio.
Cosa accadrebbe se qualcuno si mettesse in testa di rastrellare sul mercato le obbligazioni Wirecard ai prezzi così bassi sopra indicati? Di certo, troverebbe difficoltà a comprarli, dati gli spread denaro-lettera abbastanza alti. Ieri, alla Borsa di Berlino si attestavano al 4,7%. In pratica, gli obbligazionisti attuali vogliono vendere, ma chiedendo prezzi superiori a quelli offerti. Superato questo primo step, il vero problema sarebbe rientrare in possesso del capitale minimo investito. A fine 2019, Wirecard possedeva assets per 5,85 miliardi, di cui 2,86 miliardi di liquidità.
I rischi legati al bond
Del patrimonio, 1,9 miliardi afferiscono a beni immobili e intangibili come l’avviamento. A fronte di queste attività, 3,9 miliardi sono i debiti, di cui gli 1,75 miliardi suddetti, il mezzo miliardo delle obbligazioni e 900 milioni di obbligazioni convertibili emesse esclusivamente a favore di Softbank. Riguardo al bond 2024, nel prospetto informativo in lingua inglese si legge che “i possessori sono esposti a un rischio di subordinazione rispetto agli altri creditori del Gruppo, dato che i titoli forniscono eventi più restrittivi di default e accordi limitati agli altri del Gruppo”.
In poche parole, gli obbligazionisti verrebbero soddisfatti solo dopo che lo saranno le banche. Supponendo che i 3 miliardi di patrimonio disponibile rimangano dal valore integro dopo questa tempesta, la sua escussione risulterebbe con ogni probabilità insufficiente a consentire al curatore fallimentare di rimborsare il bond, almeno non per l’intero importo nominale. A meno che le emissioni a favore di Softbank non finiscano nel calderone delle indagini, con le autorità che stanno già da giorni accendendo i fari sui due accordi, i quali apparentemente sembrano essere stati stipulati senza alcun rischio finanziario per l’istituto nipponico. Questo ha, infatti, “impacchettato” il bond in nuovi titoli che ha emesso sul mercato.
Al di là delle considerazioni strettamente di tipo finanziario, esistono buone probabilità che la vicenda si porti dietro strascichi giudiziari non brevi, nel corso dei quali non sarà possibile a priori capire chi abbia diritto a quanto. E sempre che non emergano altre irregolarità dall’analisi dei bilanci, che deprimerebbero ulteriormente la massa attiva, riducendo le probabilità che gli obbligazionisti vengano soddisfatti.
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