Aramco, la compagnia petrolifera statale dell’Arabia Saudita, ha ricevuto l’assegnazione dei suoi primi rating da parte delle agenzie Fitch e Moody’s, alla vigilia dell’emissione del primo bond. La società è risultata essere la più redditizia al mondo nel 2018, avendo generato un utile netto di 111,1 miliardi di dollari, praticamente doppiando i 59,5 miliardi di Apple, seconda in classifica. L’EBITDA, ossia il risultato prima delle tasse, degli interessi e degli ammortamenti, è stato di 224 miliardi. Inoltre, al termine dello scorso anno, la compagnia disponeva liquidità per 48,8 miliardi di dollari, a fronte di debiti per 27 miliardi.

Per questo, entrambe le agenzie hanno deciso di assegnarle il rispettivo quinto gradino nella scala dei rating, ossia “A+” e “A1”. Si tratta di valutazioni elevate, ma che non riescono a raggiungere quelle della diretta concorrente Exxon, la società petrolifera più capitalizzata in borsa, rispettivamente valutata da Moody’s e S&P “AAA” e “AA+”. E Fitch valuta Shell “AA-“, un gradino in più di Aramco.

Bond Aramco, questione di rating: ecco il possibile rendimento del colosso petrolifero saudita

In effetti, esistono alcune peculiarità che hanno concorso a deprimere il rating. Anzitutto, la compagnia sconta un’imposizione fiscale del 50%, a cui si aggiunge il pagamento di royalties fino al 20% dei ricavi. E così, ad esempio, nel 2018 ha versato alla stato dividendi per 58,2 miliardi, realizzando cash flow per 121 miliardi e investendo 35,2 miliardi. Tuttavia, in sede di valutazione, le agenzie hanno tenuto anche conto del cosiddetto “funds flow from operations”, una misura simile ai flussi di cassa, ma prima di scontare cambiamenti sul fronte dei capitali. Ebbene, essi sono stati pari a 26 dollari al barile, abbastanza soddisfacenti, ma non proprio al top, se si considera che Shell vanta 38 dollari e Total 31.

Una delle ragioni per cui il rating di Aramco è stato inferiore alle aspettative dei suoi dirigenti consiste nel forte legame che la compagnia ha con lo stato, il cui giudizio sovrano è “A1” per Moody’s.

E’ pur vero che essa vanterebbe caratteristiche tipiche di una società con rating tripla “A”, come bassi debiti rispetto alla liquidità disponibile, ampia produzione e leadership sul mercato mondiale. Per contro, ha una minore diversificazione rispetto alle principali rivali, essendo troppo concentrata nella produzione di petrolio e poco in quella di gas naturale, con ciò risultando esposta alle variazioni delle quotazioni petrolifere. Non è un caso che l’emissione del bond sia finalizzata a finanziare l’acquisizione del 70% di SABIC, società saudita statale e quarta produttrice petrolchimica al mondo. Il costo dell’operazione è stato annunciato per 69,1 miliardi.

E Aramco attende anche l’IPO

Allo scopo, Aramco terrà in questi giorni un “roadshow” in capitali finanziarie come Londra, New York, Hong Kong, Boston, Singapore, Tokyo, Los Angeles e Chicago. L’offerta obbligazionaria sarà gestita da JP Morgan e Morgan Stanley e sarà quotata al London Stock Exchange. Di fatto, si tratta di una diversa forma di raccolta dei capitali rispetto al piano iniziale di quotazione in 1-2 borse internazionali, oltre a quella saudita, di un 5% di Aramco. L’IPO è stata rinviata al 2021 e nelle intenzioni di Riad introiterà 100 miliardi, capitalizzando l’intera società sui 2.000 miliardi di dollari, ben al di sopra delle valutazioni medie degli analisti indipendenti, che variano dai 400 ai poco più di 1.000 miliardi.

L’Arabia Saudita ha bisogno di petrolio a quasi 90 dollari, in attesa dell’IPO di Aramco

Aramco è la prima società petrolifera per estrazioni. Secondo Fitch, la produzione liquida si è attestata nel 2018 a 11,6 milioni di barili al giorno. Di fatto, è la gallina dalle uova d’oro del regno, costituendo ancora circa i due terzi delle sue entrate statali e la fonte principale di esportazioni, ossia anche di ingresso di dollari.

Nonostante la forte dipendenza dalla compagnia, lo stato l’ha gestita esemplarmente, come dimostrano i copiosi capitali disponibili per gli investimenti, agli antipodi di realtà come PDVSA in Venezuela, dove i ricavi della compagnia sono stati semplicemente saccheggiati dal governo per distribuirli alla popolazione, prosciugando i mezzi necessari per investire e finendo per rendere impossibili persino le estrazioni dai pozzi esistenti.

Ricordiamo che il bond di Aramco, una volta che sarà negoziabile alla Borsa di Londra, presenterà principalmente un rischio di cambio, essendo denominato in dollari. Quanto alle scadenze, si parla dai 3 ai 30 anni. E il debito in valuta americana non espone la compagnia a rischi, almeno non direttamente, essendo il rial legato al dollaro da un “peg” fissato nel 1985 e pari a 3,75. Vero è, però, che in teoria qualche criticità vi sarebbe nel caso in cui le quotazioni internazionali del greggio scendessero repentinamente come nel biennio 2015-2016, colpendo le riserve valutarie saudite, le quali a quel punto non si gioverebbero delle fluttuazioni del cambio per risollevarsi. In condizioni estreme, ciò finirebbe per colpire le entrate statali, impattando negativamente sul rating sovrano e, quindi, anche della stessa Aramco. Ad ogni modo, proprio il superamento brillante della crisi degli anni passati ha segnalato la capacità delle autorità di Riad di gestire situazioni complicate sul piano geopolitico e internazionale, anche facendo ricorso alla leadership sul mercato mondiale petrolifero. Del resto, i rating appena assegnati scontano già i diversi scenari e ciononostante sono abbastanza solidi.

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