I titoli di stato denominati in euro con rendimenti negativi crollano dal 56% al 48% del totale nel giro di un mese. Sono i dati forniti da Tradeweb, secondo i quali alla fine di gennaio ammontavano a 4.380 miliardi di euro contro i 5.100 miliardi di fine dicembre. In un solo mese, quindi, i bond con rendimenti sottozero si sono ridotti di circa 700 miliardi. In calo anche la quota dei corporate bond con rating “investment grade” dai rendimenti negativi, scesi a 674 miliardi, il 18% dei 3.700 miliardi dell’intero mercato di riferimento.

Si tratta dell’incidenza più bassa dalla metà del 2020, vale a dire dai primi mesi della pandemia.

Negli USA, i rendimenti negativi non hanno preso piede per via di una politica monetaria della Federal Reserve meno radicale sui tassi. Ma anche lì qualcosa si sta muovendo, se è vero che lo scorso mese di gennaio sia stato il peggiore per i bond “high yield”, quelli con rating “spazzatura”. Il loro rendimento medio è salito di ben 87 punti base, passando dal 4,35% al 5,22%, ai massimi dal novembre 2020. Il calo medio dei prezzi è stato nell’ordine del 2,4%. Nel frattempo, il Treasury a 10 anni è schizzato da 1,51% a 1,78%.

Rendimenti negativi un’anomalia europea

Questi dati ci compongono un quadro ben preciso per il mercato obbligazionario globale. I rendimenti stanno risalendo dai minimi storici toccati sotto la pandemia. Essi scontano una politica monetaria tendenzialmente meno espansiva e il maggiore appetito per il rischio tra gli investitori. Lo scorso lunedì, persino i rendimenti negativi tedeschi hanno accusato grossi movimenti rialzisti. Il Bund a 2 anni è salito di 8 punti base al -0,55%, la maggiore crescita giornaliera dal marzo 2020. Per non parlare del Bund a 10 anni, che qualche settimana fa fece una breve incursione in territorio positivo dopo quasi tre anni.

I rendimenti negativi sono un’assoluta anomalia sul piano storico e della razionalità economica. Implicano che chi presta denaro paghi chi quel denaro lo riceve.

Il controsenso è reso possibile dall’eccesso di liquidità presente sul mercato anche per effetto delle politiche ultra-espansive delle banche centrali, unitamente alla necessità per gli investitori istituzionali di possedere in portafoglio asset di qualità anche per ragioni regolamentari. L’Europa è e resta il cuore di questo fenomeno. Fino a pochi anni fa, eravamo semmai abituati all’idea di rendimenti negativi solo in termini reali, cioè tenuto conto dell’inflazione. Al momento, chi acquista un Bund a 10 anni fronteggia una perdita reale di quasi il 5% all’anno, rischiando di “bruciare” la metà del capitale alla scadenza.

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