Sta tenendo banco da mesi la querelle tra Tunisia e Fondo Monetario Internazionale (FMI). Il presidente Kais Saied si rifiuta di accettare le condizioni poste dall’istituto per concedergli un prestito di 1,9 miliardi di dollari. Non gli vanno giù, in particolare, il taglio dei sussidi e della spesa per gli stipendi pubblici. Il problema è che non può permettersi di fare troppo lo schizzinoso a lungo, perché le condizioni finanziarie del suo paese sono molto gravi. Il deficit pubblico era al 10% del PIL l’anno scorso e resterà al 7,7% quest’anno, mentre scenderà solo al 5,5% nel 2024.

Il debito pubblico viaggia intorno all’80% del PIL. Per Moody’s i bond sovrani della Tunisia sono “spazzatura”, classificati con rating Caa2, praticamente qualche gradino sopra il default conclamato. E’ rimasta l’unica agenzia internazionale a continuare ad aggiornare il suo giudizio sul paese.

Scommettere sui bond della Tunisia, allo stato attuale, equivale a lanciare i dadi al casinò. Se va bene, ti porti a casa guadagni elevati; se va male, rischi di non rivedere il capitale a lungo e di vedertelo restituito solo in parte. A fine aprile, stando all’ultimo dato ufficiale disponibile, le riserve valutarie tunisine ammontavano a 7,75 miliardi di dollari. Ma già a fine 2022 il debito estero a breve termine, cioè di durata fino a 12 mesi, era pari a 13,7 miliardi. In teoria, quindi, ci sarebbero mezzi insufficienti per ripagare i creditori esteri. Un modo per accrescerli sarebbe di chiudere i saldi correnti in positivo. Non è quanto sta accadendo. Anzi, nei primi sei mesi dell’anno la bilancia commerciale ha esitato un deficit di 4,5 miliardi di dollari.

Bond Tunisia in euro e dollari, occasioni rischiosissime

C’è un altro modo per evitare la crisi della bilancia dei pagamenti: farsi prestare altro denaro dall’estero. E’ accaduto una decina di giorni fa, quando l’Arabia Saudita ha concesso un prestito di 400 milioni e sussidi per altri 100 milioni con l’obiettivo di consentire al paese di ripagare un bond in euro di mezzo miliardo in scadenza questo ottobre.

La quotazione al termine della scorsa settimana era di 96 centesimi, corrispondente a un rendimento lordo in area 22,50%. Il titolo stacca anche una cedola annuale del 6,75% (ISIN: XS1901183043).

Se allunghiamo di qualche mese l’orizzonte dell’investimento, troviamo un altro bond in euro, stavolta in scadenza il 17 febbraio 2024 con cedola 5,625% (ISIN: XS1567439689). Questo titolo prezza sopra 85 centesimi e offre un rendimento del 35%. Spostandoci sul tratto a tre anni, abbiamo la scadenza 15 luglio 2026 con cedola 6,375% (ISIN: XS2023698553). A fronte di una quotazione di poco sopra 61 centesimi, il rendimento si attesta a più del 27%. Infine, la scadenza in dollari del 19 settembre 2027 con cedola 8,25% (ISIN: US066716AB78): quotazione intorno a 62,50 centesimi e rendimento a quasi il 24%.

Se la Tunisia riuscisse a scampare il default, sarebbe un affare. Allo scopo non basterebbe, comunque, incassare il prestito dell’FMI. Risulta necessario che questa iniezione di liquidità riporti la fiducia verso il sistema economico tunisino. Come dimostra ampiamente il caso argentino, se butti i soldi in un pozzo senza fondo, il default sarà stato solo rinviato. I bond della Tunisia restano molto rischiosi per questo motivo, specie sul tratto a medio-lungo termine. Quelli più corti, una volta che il rimborso fosse reso possibile, va da sé che avranno scampato il pericolo.

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