Per la terza volta quest’anno, la Turchia ha emesso nella giornata di ieri un bond sui mercati internazionali, denominato in dollari Usa. Ha raccolto 1,75 miliardi di dollari a condizioni migliori rispetto a quelle inizialmente attese. A marzo era stato il turno di un’emissione in euro, la prima in tre anni, per 2 miliardi. Il mese prima un decennale in dollari con cedola 7,875%. Ankara punta a raccogliere 10 miliardi di dollari entro l’anno tra emissioni internazionali ordinarie e cosiddetti “sukuk”.

Questi ultimi sono obbligazioni compatibili con la Sharia, la legge islamica.

Primi frutti da lotta all’inflazione

Il nuovo bond della Turchia in dollari ha una durata di otto anni e ha spuntato un rendimento del 7,30%, inferiore al 7,625% inizialmente atteso dalla guidance. Si sono occupate dell’operazione Bnp Paribas, Citigroup, JP Morgan e Standard Chartered. Il successo si deve al relativo ottimismo tra gli investimenti per il nuovo corso intrapreso dai policy maker turchi dopo le elezioni presidenziali dello scorso anno. La banca centrale ha alzato i tassi di interesse dall’8,50% al 50%, mentre la lira turca è stata svalutata del 40%.

Tra l’altro la lotta all’inflazione inizia a mostrare i primi frutti. Pur restando sopra il 70% su base annua, a giugno l’incremento mensile dei prezzi al consumo è sceso all’1,64% dal 3,37%, ai minimi da maggio 2023. Il governo sta accompagnando gli sforzi dell’istituto tagliando la spesa pubblica e avendo saltato l’incremento infrannuale del salario minimo.

Bond Turchia sostenuti da tregua elettorale

I bond della Turchia si sono decisamente apprezzati nell’ultimo anno. Ad esempio, la scadenza in dollari del 26 aprile 2029 con cedola 7,625% (ISIN: US900123CT57) ha segnato un rialzo di oltre il 25% dai minimi toccati proprio un anno fa a luglio. Il rendimento è crollato, al contrario, al 7%. A deporre a favore del mercato sovrano anatolico c’è l’assenza di appuntamenti elettorali di rilievo da qui al 2028, per cui il presidente Recep Tayyip Erdogan avrà tutto il tempo a disposizione per cercare di risollevare le sorti dell’economia domestica con una politica ortodossa.

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