Da quando il trading è stato riattivato nel mese di ottobre, i bond sovrani del Venezuela hanno registrato un balzo impressionante in termini percentuali. La loro negoziazione era stata sospesa da inizio febbraio del 2019, quando gli Stati Uniti smisero di riconoscere il regime di Nicolas Maduro. Al suo posto, fu considerato presidente legittimo Juan Guaido, a capo dell’allora Assemblea Nazionale. Le sanzioni comminate contro Caracas sono state durissime in questi anni. Il paese andino è stato tagliato completamente fuori dai mercati internazionali.

Già dalla fine del 2017, tuttavia, era scattato il default per la penuria di riserve valutarie con cui pagare i creditori stranieri. Oltre una sessantina di miliardi di dollari tra titoli del debito pubblico ed emessi dalla compagnia petrolifera statale PDVSA non ha staccato cedole e né è stata rimborsata alla scadenza.

Bond Venezuela giù dai massimi

I bond del Venezuela in dollari con scadenza 13 ottobre 2024 e cedola 8,25% (ISIN: USP97475A55) ora scambiano intorno ai 15,60 centesimi, in forte rialzo dai livelli pre-trading, ma a fine ottobre avevano superato i 21,40 centesimi. E i titoli che saranno rimborsati in data 15 settembre 2027 con cedola 9,25% (ISIN: US922646AS37), anch’essi in dollari, sono schizzati da 10 a 19,13 centesimi. Il loro apice di cinque settimane fa era stato di 21,50 centesimi.

Infine, il bond con scadenza 5 agosto 2031 con cedola 11,95% (ISIN: USP17625AD98) si acquista a 18,75 dai 25 centesimi a cui era arrivato a fine ottobre. I cali dai massimi sono spiegabili con la corsa degli obbligazionisti a disinvestire per rientrare in parte del capitale investito dopo che per anni sono stati impossibilitati ad uscire dal mercato. Le quotazioni restano in forte rialzo rispetto ai valori presumibili di un paio di mesi fa, ma l’euforia potrebbe svanire molto presto.

Annessa gran parte della Guyana

Nel fine settimana passato, Maduro ha fatto tenere un referendum nella vicina Guyana per chiedere agli abitanti dell’area di Esequibo se vogliono essere annessi al Venezuela.

Ha riportato una vittoria schiacciante, per quanto scontata. I dissidi territoriali vanno avanti da secoli. Con questa mossa, Caracas si è annessa un’area di 160 mila km, circa il 60% del territorio italiano, pari ai due terzi dell’intera Guyana, garantendosi l’accesso a 13,6 miliardi di barili di petrolio e ad oltre 900 miliardi di metri cubi di gas. Il paese estrae ormai 400 mila barili al giorno di greggio, registrando tassi di crescita del PIL abnormi, attesi al 37% per quest’anno.

Sanzioni USA riattivate?

Questa situazione sta facendo esplodere la tensione nel Sud America, con il Brasile di Lula a minacciare ritorsioni. E l’amministrazione Biden cosa farà? L’allentamento delle sanzioni per sei mesi, comprese quelle sui bond del Venezuela sul mercato secondario, era stato subordinato a due condizioni: il rilascio dei prigionieri politici e l’ammissione degli oppositori alle candidature per le elezioni dell’anno prossimo. Sarebbe dovuto avvenire entro il 30 novembre, ma il regime di Maduro non ha rispettato la “deadline”.

Nelle prossime settimane, la pressione sulla Casa Bianca per ritornare sui propri passi sarà crescente. Anche gli Stati Uniti sono già in modalità pre-elettorale e il voto dei “latinos” risulta determinante, specie in stati come la Florida. L’opposizione a regimi come Cuba e Venezuela è forte tra coloro che da essi sono fuggiti in cerca di protezione o anche solo di una vita migliore. In conclusione, può accadere che sui bond del Venezuela la finestra di opportunità per le negoziazioni giunga presto al termine. Caracas non si rivela un partner affidabile con cui dialogare.

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