Mentre la Federal Reserve si appresta ad aumentare i tassi d’interesse per un’ultima volta (?), il mercato sconta il prosieguo del Quantitative Tightening dopo che il governatore Jerome Powell ha dichiarato dinnanzi al Congresso che eviterà le problematiche del 2019. Allora, l’avvio della riduzione del bilancio dell’istituto provocò una caduta delle riserve di liquidità. Dal picco di quest’anno toccato nel marzo scorso, in coincidenza con la crisi bancaria, gli asset della FED sono scesi di 535 miliardi di dollari a poco meno di 8.300 miliardi.

Sono tornati ai livelli dell’estate di due anni fa. Ma la strada verso la normalizzazione resta lunga, se è vero che poco prima del crac di Lehman Brothers nel 2008 ammontavano a 900 miliardi, circa il 5% del PIL. Adesso, viaggiavano ancora a quasi il 33%. Di questo sembra avere preso atto anche il Bund a 10 anni, come segnala il boom del suo rendimento.

Ieri, è tornato a sfiorare il 2,70%, portandosi ai livelli di inizio marzo. Il grafico mostra in modo palese la corsa ripartita a inizio giugno, quando ancora il rendimento decennale tedesco era al 2,25%. Poiché trattasi del “benchmark” per l’intero mercato obbligazionario dell’Eurozona, di conseguenza sono lievitati tutti gli altri rendimenti sovrani. E le distanze con  Ieri, il BTp a 10 anni è tornato al 4,40%. Pur con uno spread sostanzialmente stabile e sotto controllo, in poche sedute il rendimento italiano è schizzato di quasi mezzo punto percentuale.

Bund 10 anni brutto colpo per bond europei

Che il Bund a 10 anni offra di più è già un brutto segnale. Esso risente delle aspettative d’inflazione, che dopo otto aumenti dei tassi d’interesse consecutivi da parte della Banca Centrale Europea dovrebbero essersi “raffreddate”. Invece, proprio il decennale tedesco ci invia un secondo cattivo segnale in tal senso. Il Bundei 2033 chiudeva le contrattazioni ben sotto la pari al termine della seduta di venerdì scorso.

A 98,52 centesimi offriva un rendimento reale dello 0,25%. Questo sarebbe ciò che rimarrebbe all’obbligazionista dopo avere detratto l’inflazione nell’Area Euro attesa per il prossimo decennio. Il bond è, in effetti, indicizzato proprio ad essa.

Se questo è vero, siamo dinnanzi a un tasso d’inflazione atteso in media intorno al 2,40%. Eccederebbe nettamente il target BCE del 2%. Perché è un segnale doppiamente negativo? In primis, perché evidenzia che saremmo ben lontani dalla fine della stretta monetaria. Secondariamente, il Bund a 10 anni torna ad offrire rendimenti reali positivi. In entrambi i casi, un brutto colpo per i bond europei. Sarebbero colpiti doppiamente. La prima volta per effetto di una stretta sui tassi non vicinissima che si rifletterebbe sui loro rendimenti al rialzo (prezzi in calo); la seconda per la maggiore concorrenza del mercato sovrano tedesco, divenuto allettante ora che sarebbe capace di più che compensare i livelli attesi d’inflazione.

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