Anche oggi è arrivata una buona notizia per il mercato obbligazionario globale, stavolta dal Regno Unito. Inflazione a giugno giù al 7,9% dall’8,7% di maggio, sotto le attese. In calo anche il dato “core” al 6,9% dal 7,1%. Tutto sembra per il momento confermare la decelerazione nella crescita dei prezzi al consumo. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, a inizio settimana ha parlato di possibile calo dell’inflazione più marcato delle attese. Un quadro che sta provocando da giorni il crollo dei rendimenti sovrani.

Il T-bond a 10 anni negli Stati Uniti offre meno del 3,75% dall’apice del 4,05% raggiunto in questo mese di luglio. Il T-bond a 2 anni è passato dal rendere più del 5% al 4,70%.

In scia a questo trend, il crollo dei rendimenti ha travalicato i confini americani e lambito i mercati nazionali nell’Eurozona. Il BTp a 10 anni è sceso sotto il 4%, quando qualche settimana fa era arrivato al 4,40%. E la buona notizia è che sta scendendo anche lo spread, in area 160 punti base dopo essere risalito nelle scorse settimane fino a 175. Gli investitori stanno scontando un minore rischio sovrano per i nostri titoli di stato, i cui CDS a 5 anni sono scesi a 91,56 punti dai massimi di 116 toccati nel corso di quest’anno. Un anno fa, erano saliti sopra 167 punti.

Per capire cosa vi sia dietro al crollo dei rendimenti dobbiamo tornare negli Stati Uniti. Complice la lettura dell’inflazione a giugno inferiore alle attese e ai minimi da marzo 2021, il mercato adesso si aspetta che la Federal Reserve alzi i tassi di interesse soltanto un’altra volta questo mese dello 0,25%. Dopodiché la stretta monetaria presso la prima economia mondiale cesserebbe. E da qui ad un anno, poi, prevede che i tassi FED scendano al 4,50%, cioè che siano tagliati per quattro volte dello 0,25% ciascuna. A fine 2024, sarebbero al 4%.

Crollo rendimenti per timore recessione

Le prospettive appaiono un po’ differenti nell’Eurozona.

Qui, il mercato sconta tassi di interesse fino al 4,50% a settembre dal 4% di giugno, sebbene aumenti l’indecisioni sull’ultimo aumento dopo l’estate. A metà dell’anno prossimo, scenderebbero al 4-4,25% e alla fine del 2024 sarebbero al 3,75%. Se queste previsioni fossero corrette, entro meno di un anno e mezzo la divergenza monetaria tra FED e Banca Centrale Europea si ridurrebbe ad appena un quarto di punto percentuale dall’1,25% attuale. Ciò spiega la forte risalita del cambio euro-dollaro ai massimi da febbraio 2022.

Fin qui, sembrano tutte buone notizie. Gli stati starebbero già avendo modo di rifinanziarsi sui mercati a costi un po’ più bassi dai massimi toccati di recente. Il punto è che questo crollo dei rendimenti risente dei timori di recessione per l’economia negli Stati Uniti. Se il mercato si aspetta che la FED tagli i tassi così in fretta dopo averli portati ai massimi, è perché crede che avrà bisogno di farlo per contrastare una probabile crisi. Le avvisaglie ad oggi non ci sono, se non molto parzialmente. D’altra parte, anche il Bund a 2 anni in Germania è sceso di una ventina di punti al 3,15% dai massimi di luglio, segnalando un futuro costo del denaro meno elevato delle passate previsioni anche per l’Eurozona.

Lo spettro della recessione avrebbe un impatto ambiguo sullo spread. Da un lato, tassi BCE più bassi rendono più sostenibile il debito pubblico italiano e ne restringe i rendimenti rispetto ai titoli tedeschi. Dall’altro, una contrazione dell’economia italiana avrebbe effetti negativi sui conti pubblici. C’è da dire, però, che ad oggi sta accadendo che l’economia italiana va meglio delle altre principali nell’Eurozona. Il peggio nell’area sembra essere stato già scontato, come segnala il recente apprezzamento dell’euro. E la BCE non correrebbe a tagliare i tassi come la FED.

Dunque, per il momento la discesa dello spread avrebbe basi solide.

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