Questo è stato un anno di cambiamenti per la Turchia. E chiaramente non stiamo parlando delle elezioni presidenziali di maggio, che hanno confermato alla guida del paese Recep Tayyip Erdogan, pur costringendolo al ballottaggio. Le novità sono arrivate dalla politica economica. Messo alle strette da una situazione disastrosa, il presidente appena rieletto ha nominato Hafize Gaye Erkan come prima donna a capo della banca centrale, richiamando al Ministero delle Finanze Mehmet Simsek. Il connubio tra i due ha riportato Ankara sulla strada dell’ortodossia, consentendo alla prima di alzare i tassi e di svalutare la lira turca e al secondo di gestire il bilancio dello stato con maggiore oculatezza.

A beneficiarne sono stati i bond in dollari della Turchia. Come vedremo, hanno messo a segni guadagni pesanti in pochi mesi.

Rendimenti del 20% in sei mesi

Prendiamo la scadenza ormai poco più che quinquennale del 14 marzo 2029 e cedola 9,375% (ISIN: US900123DH01). Prima del ballottaggio di fine maggio, aveva toccato una quotazione minima di poco superiore a 91 centesimi. Ieri, risultava salita sopra in area 104,50. La crescita percentuale è stata del 14,5% in meno di sei mesi. E se aggiungiamo la cedola spettante all’obbligazionista per il periodo di detenzione, rapportandola al prezzo di acquisto, sfioriamo il 20%. In questo frangente, il cambio euro-dollaro è rimasto sostanzialmente stabile. In realtà, ha subito un vistoso saliscendi, ma attualmente si è riportato proprio ai livelli di maggio.

Tra i bond in dollari della Turchia abbiamo la scadenza 19 gennaio 2033 e cedola 9,375% (ISIN: US900123DG28). In questo caso, la quotazione minima a maggio era stata di 90,35 centesimi e ieri era salita a 104,18. I guadagni superano il 15%, a cui dobbiamo sommare sempre il rateo attivo della cedola effettiva, superiore al 5%. Otteniamo anche stavolta un rendimento sopra il 20%.

Primi risultati da policy ortodossa

La banca centrale ha alzato i tassi di interesse dall’8,50% al 35%, al fine di battere un’inflazione schizzata fin sopra l’84% un anno fa e ancora al 61,4% nel mese di ottobre.

Essa è trainata dal crollo della lira turca, che contro il dollaro nell’ultimo anno ha perso un altro 35%. L’istituto ha rimosso tutta una serie di controlli sui capitali, al fine di preservare le riserve valutarie, che erano scese sottozero fino alla scorsa primavera. I risultati si stanno vedendo. Tra l’altro, a settembre le partite correnti hanno segnato il secondo saldo attivo dell’anno dopo giugno e il più alto da due anni. Significa che l’economia turca sta riacquisendo competitività.

Previsioni su bond Turchia impossibili con Erdogan

La risalita dei bond in dollari della Turchia risente della minore percezione del rischio sovrano. Anche se i rating restano “non investment grade”, i CDS a 5 anni segnano una caduta dagli oltre 700 punti di fine maggio ai 357 di ieri. Sono i titoli che assicurano contro il default per un periodo quinquennale e, quindi, il fatto che costino la metà di sei mesi fa significa che sul mercato i timori verso la sostenibilità del debito turco si sono di molto sgonfiati. Per il futuro, però, inutile fare previsioni quando di mezzo c’è Erdogan. Non è la prima volta che cambia policy non appena ottiene un minimo risultato. E l’anno prossimo si terranno le elezioni amministrative, tra cui nell’importantissima Istanbul, che nel 2019 è finita in mano all’opposizione. La tentazione del “sultano” di mietere consensi puntando su bassi tassi e credito facile rischia di tornare a galla.

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