Questo passerà alla storia come l’anno nero del mercato obbligazionario. Non c’era mai stato un periodo di perdite così intenso, che peraltro si è accompagnato al contestuale crollo del mercato azionario. E’ successo che, tutto ad un tratto, sono venute meno le condizioni che avevano fatto correre i titoli del debito (e le azioni) per oltre un decennio senza sosta. Siamo passati in brevissimo tempo dai rendimenti negativi ai massimi segnati dal 2007. Uno choc per quanti si aspettassero un “atterraggio morbido” e prevedessero tempi lunghi per un rialzo globale dei tassi.

A scombinare i giochi è stata l’inflazione. Tanto invocata dalle banche centrali dopo il crac di Lehman Brothers, sembrava essere scomparsa per sempre. Tra globalizzazione, invecchiamento della popolazione e avanzamento tecnologico, gli economisti erano quasi certi che non avremmo più avuto a che fare con tassi di crescita dei prezzi al consumo vagamenti simili ai decenni precedenti.

Inflazione scatena vendite di bond

Invece, attualmente l’inflazione è salita ai massimi dagli anni Ottanta sia negli USA che in Europa. E non accenna a ridurre marcatamente la sua corsa. Il mercato obbligazionario resta in rosso. I rendimenti di breve, medio-lungo e lungo termine sono risaliti per scontare il minore potere di acquisto. D’altra parte, restano ben sotto i livelli d’inflazione, dato che la liquidità sui mercati continua ad essere alta e le aspettative d’inflazione nel medio-lungo termine ancorate ai target delle banche centrali.

Più passano i mesi, però, e più la tanto attesa svolta non arriva. Quell’inversione di tendenza che fa scattare acquisti stabili sul mercato obbligazionario non s’intravede ancora. E nessuno sa se sia dietro l’angolo o se arriverà tra molto tempo. Sappiamo, però, quale sarà con ogni probabilità l’evento che inciderà sulla tempistica della ripresa. Infatti, così come l’inflazione ha scatenato le vendite, un suo calo marcato stimolerà i riacquisti.

Mercato obbligazionario FED-dipendente

E a battere i tempi sarà ancora una volta la Federal Reserve. Dovrebbe alzare i tassi al 4% a inizio novembre e ancora al 4,75% a dicembre, stando alle attese del mercato. Potrebbe portarli al 5% nei primi mesi dell’anno prossimo. Tuttavia, la fine di questa stretta monetaria tardiva e veloce s’intravedrà quando l’inflazione americana inizierà a scendere a ritmi apprezzabili. A settembre era all’8,2%, non lontana dall’apice del 9,1% raggiunto a giugno. In tre mesi, una decelerazione di neppure l’1%. Nei prossimi mesi, però, tra “effetto base” e riduzione della liquidità dovuta al rialzo dei tassi FED, l’inflazione dovrebbe accelerare la discesa.

Solo quando questa tendenza si consoliderà, trascinerà con sé le aspettative d’inflazione sotto il target del 2% (dal 2,30% attuale) e impatterà negativamente sull’attività economica, ergo sull’occupazione americana, il mercato obbligazionario inizierà a scontare il taglio dei tassi dopo una pausa di qualche mese. A quel punto, i rendimenti a lungo scenderanno più velocemente di quelli a breve. A dire il vero, già oggi ci troviamo dinnanzi a una curva delle scadenze invertita negli USA. I prezzi dei T-bond saliranno, il dollaro s’indebolirà. I flussi dei capitali si dirigeranno verso Europa e Asia, dove i rendimenti dei bond scenderanno, i tassi di cambio si rafforzeranno e, ceteris paribus, i tassi d’inflazione scemeranno. Guerra permettendo.

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